#iostocongiulio e #iosonogiulio. Aumentano gli hashtag a sostegno del quattordicenne autistico di Livorno che ieri mattina ha provato cosa vuol dire sentirsi soli a scuola: tutti i suoi compagni di classe erano andati in gita mentre lui non era nemmeno stato avvisato.
“Un’azione del genere ha lasciato un’ombra dentro gli adulti e i giovani che hanno, volontariamente o involontariamente, partecipato a una beffa che non ha nulla di civile o sociale, ma anzi è molto amara per tutti gli studenti, i genitori e quanti si danno da fare realmente per l’integrazione. Questo è ancor più vero nella scuola italiana, dove la possibilità e la fattibilità d’integrare è uno dei primi obiettivi che si stanno perseguendo”. È il commento di Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta dell’età evolutiva e direttore dell’Istituto di Ortofonologia (IdO) di Roma, presente da anni nelle scuole italiane con gli sportelli di supporto psicologico sia per studenti, che per genitori e professori. “Credo che tutti (studenti, genitori e forse anche qualche docente) dovrebbero scrivere una lettera di scuse indirizzata all’adolescente lasciato solo, alla sua famiglia e ai tanti che lavorano per un’Italia che punta alla piena integrazione- afferma lo psicologo- ma che poi si ritrova nella difficoltà di constatare che proprio nel luogo più sicuro e integrato del nostro Paese avvengano queste cose”.
L’Italia è stata “la prima nazione in Europa, e forse nel mondo, ad attuare realmente un processo d’integrazione che ha abolito le classi speciali e istituito figure come le insegnanti di sostegno proprio per poter aiutare i giovani- prosegue lo psicoterapeuta- sia quelli con difficoltà leggere, che altri coinvolti in disturbi più complessi come l’autismo”. Il fatto che “una classe intera possa essere andata in gita senza aver minimamente coinvolto il ragazzo autistico- spiega lo psicologo- è un problema molto grave. La sua gravità non sta solo nel dispiacere che ha potuto provare il ragazzo, ma nella furbizia passata tra i ragazzi e avallata dagli adulti, siano essi docenti o genitori, che si possano evitare le situazioni difficili altrui cercando di non essere coinvolti”. La parola ‘integrare’ “significa che tutti noi dobbiamo partecipare- conclude Castelbianco- non possiamo pensare di integrare e costruire una società civile senza dare un qualcosa, anche piccolo che sia, di mirato per far sì che il soggetto debole possa sentirsi accolto, integrato e partecipante”.
Fonte: DIRE