Ogni anno in Italia sono diagnosticati circa 300.000 nuovi casi di tumore ma il 4% della popolazione, cioè due milioni di persone, ha già una diagnosi di tumore.
I dati devono essere, però, analizzati alla luce di un evidente e costante invecchiamento globale della popolazione che inevitabilmente aumenterà l’incidenza della patologia nel corso dei prossimi anni. Circa il 50% delle persone malate di tumore muore con un percorso di vita molto differente da caso a caso. Sono persone alle quali le cure ed i protocolli medici non hanno efficacia e si avviano alla fase terminale della vita. In questa fase non serve più la medicina di accanimento, ma assistenza a un malato grave, fatta da esperti che aiutino a rendere più sopportabili momenti difficili da un punto di vista psicologico, fisico, spirituale.
La Medicina Palliativa si configura come disciplina, o filosofia, che cura anche quando non si può guarire, attraverso la presa in carico della persona nella sua totalità. Questa branca della medicina si è sviluppata negli anni ’60 con la nascita del movimento Hospice di cui pioniera fu l’Infermiera e medico Cicely Saunders che, nel 1967 fondò nei pressi di Londra il primo Hospice chiamato St. Chirstopher.
L’obiettivo delle cure palliative è di dare senso e dignità alla vita fino alla fine, garantendo una buona qualità, attraverso il sollievo dalla sofferenza non solo fisica, ma anche emotiva sia della persona malata sia della famiglia. Si tratta di un progetto ambizioso perché la realtà della persona malata che arriva in Hospice è estremamente complessa e per tale motivo deve necessariamente essere presente un’equipe che si occupi di ogni aspetto della cura della persona malata.
Ecco l’importanza sempre più avvalorata dall’esperienza, di avere un gruppo multidisciplinare composto da Medici, Infermieri, Operatori Socio Sanitari, Psicologi, Fisioterapisti, Assistenti Sociali.
Ciascun professionista deve collaborare con gli altri per creare un team che si concentri sulla identificazione di una cura specifica per ogni persona malata, che necessita di aggiornamenti costanti in considerazione dei cambiamenti che possono determinarsi per l’aggravamento progressivo della malattia.
Per questo motivo l’accuratezza assistenziale per una persona affetta da malattia progressiva e incurabile richiede sul piano concettuale la conoscenza della storia naturale della malattia e, nello stesso tempo, l’impegno a seguire la persona malata e la famiglia nelle diverse fasi della malattia.
Questa considerazione ovviamente è rivolta a tutti coloro che si prendono cura della persona malata, in altri termini, ancor prima di attuare la cura, il personale sanitario deve conoscere adeguatamente anche il decorso delle patologie che portano la persona verso la fase terminale della vita, in modo tale da poter prevenire eventuali bisogni assitenziali e rispondere in modo più consapevole alle richieste. Il problema è particolarmente sentito in una struttura residenziale tipo Hospice, dove l’organizzazione del lavoro in equipe prevede una omogeneità di comportamenti basata su una omogeneità di culture e di sentire.
Definizione e significato della Medicina Palliativa
(National Council for Hospice and Palliative Care Services WHO-OMS 1990 modificata dalla Commissione ministeriale per le cure palliative 1999).
Le cure palliative si occupano in maniera attiva e globale (care) dei pazienti colpiti da una malattia che non risponde più a trattamenti specifici (cure) e la cui diretta conseguenza è la morte. Il controllo del dolore, di altri sintomi e degli aspetti psicologici, sociali e spirituali è di fondamentale importanza. Lo scopo delle cure palliative è il raggiungimento della miglior qualità di vita possibile per i pazienti e le loro famiglie. Alcuni interventi palliativi sono applicabili anche più precocemente nel decorso della malattia, in aggiunta al trattamento oncologico. ASSR – Ricerca sulle Cure Palliative finanziata dal Ministero della Salute ex-art.12 DLgs 502/92.
Le Cure Palliative:
• affermano la vita e considerano il morire come un evento naturale
• non accelerano né ritardano la morte
• provvedono al sollievo dal dolore e dagli altri disturbi
• integrano gli aspetti psicologici e spirituali dell’assistenza
• aiutano i pazienti a vivere in maniera attiva fino alla morte
• sostengono la famiglia durante la malattia e durante il lutto
Lo sviluppo di una definizione specifica e unica è stato uno degli obiettivi primari a livello mondiale sia per chiarire la finalità sia le caratteristiche di questa disciplina. Necessità ancor maggiore poiché il termine “palliativo” assume, ancora oggi, una connotazione tendenzialmente negativa. Nel linguaggio comune, infatti, si usa questa espressione per indicare generalmente qualcosa di inutile, e in ambito sanitario molti operatori associano palliativo a placebo.
Origini ed evoluzione della Medicina Palliativa
Come detto precedentemente il “movimento Hospice” nasce per opera di Cicely Saunders.
Questa donna è stata in grado di creare una nuova disciplina ed estenderla a livello mondiale coinvolgendo prima gli USA poi il Canada e poi anche l’Europa.
In Italia le cure palliative sono state introdotte a partire dagli anni 80’ del secolo scorso grazie alla figura di Vittorio Ventafridda, allora Direttore del Servizio di Terapia del dolore dell’Istituto Nazionale per la ricerca e la cura dei tumori di Milano, e dall’Ingegnere Floriani, fondatore dell’anonima associazione. Fu tra i primi a rendersi conto che le problematiche del malato oncologico non potevano trovare una soluzione solo al controllo del dolore fisico e soprattutto che l’ospedale non poteva essere il luogo adatto per vivere bene l’ultima fase della vita. Nacque così il modello Floriani che prevede l’integrazione tra ente pubblico e privato, sviluppando quindi un piano di assistenza al paziente terminale non soltanto ospedaliero ma anche a domicilio. Questo modello prevede lo sviluppo di una equipe multidisciplinare di cui fanno parte : medici, infermieri, psiolcogici, assistenti sociali, fisioterapisti e volontari. In molte realtà la stessa equipe sarà quella che seguirà la persona malata al proprio domicilio attraverso la dimissione protetta.
A tutela dei bisogni dei malati terminali, il Comitato Etico presso la Fondazione Floriani (CEFF) nel 1999 ha predisposto una “carta dei diritti dei morenti” essa stabilisce che chi sta morendo ha il diritto:
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ad essere considerato come persona sino alla morte;
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ad essere informato sulle sue condizioni, se lo vuole;
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a non essere ingannato e ricevere risposte veritiere;
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a partecipare alle decisioni che lo riguardano e al rispetto della sua volontà
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al sollievo del dolore e della sofferenza;
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a cure e assistenza continue nell’ambiente desiderato;
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a non subire interventi che prolunghino il morire;
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a esprimere le sue emozioni;
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all’aiuto psicologico e al conforto spirituale, secondo le sue convinzioni e la sua fede
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alla vicinanza ai suoi cari;
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a non morire nell’isolamento e in solitudine;
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a morire in pace e con dignità;
Il morente quindi non è più abbandonato a se stesso, ma inizia a essere tutelato anche in questa ultima fase della vita.
Come a livello internazionale anche in Italia erano necessarie delle normative che permettessero di disciplinare lo sviluppo della medicina palliativa e di tutto ciò che la riguardava. Un forte impulso fu dato dal PSN 1998-2000 tra i cui obiettivi di salute fu specificato il miglioramento dell’assistenza erogata alle persone che affrontano la fase terminale della vita, privilegiando in particolare azioni volte al potenziamento degli interventi di terapia antalgica e palliativa. La legge 39 del 26 febbraio 1999 “Disposizioni per assicurare interventi urgenti di attuazione del piano sanitario nazionale” stabiliva lo stanziamento di finanziamenti per l’implementazione del “Programma nazionale per la realizzazione di strutture per le cure palliativa prevedendo la realizzazione, in ciascuna regione e provincia autonoma, di un numero adeguato di strutture residenziali per l’assistenza ai pazienti non guaribili, da ubicarsi sul territorio in modo da consentire un’agevole accessibilità da parte dei pazienti e delle loro famiglie. In sintesi, gli elementi principali del Programma erano i seguenti:
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realizzazione dei centri residenziali (hospice), con particolare riguardo all’adeguamento e alla riconversione di strutture non utilizzate di proprietà delle Aziende Sanitarie o degli Ospedali;
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attivazione della rete di assistenza ai malati terminali, articolata in diversi livelli assistenziali integrati (domiciliare, ambulatoriale, ospedaliera, in hospice)
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valutazione della qualità assistenziale attraverso specifici indicatori;
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affidamento alle Regioni del compito di definire i programmi regionali e protocolli operativi e per la comunicazione/informazione nei confronti delgi operatori e della popolazione;
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ripartizione dei finanziamenti da destinare alle regioni, per la realizzazione delle strutture di cure palliative;
La legge è stata poi arricchita qualche mese dopo con il decreto ministeriale del 20 gennaio 2000 in cui erano stabiliti i requisiti minimi strutturali, tecnologici e organizzativi dei centri residenziali (hospice). Una svolta estremamente importante si ha con la Legge n.38 del 15 marzo 2010 “disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”. Si tratta di una legge che definisce chiaramente i cardini della medicina palliativa dando delle definizioni sul significato di: cure palliative, terapia del dolore, malato, reti, assistenza residenziale, assistenza domiciliare, day hospice, assistenza specialistica di terapia del dolore.
Autori: dr.ssa Giuliana Nepoti, dr.ssa Antonella Montanari, Azienda Opedaliero Universitaria S.Orsola Malpighi
Tratto dall’articolo “L’importanza della formazione nella realizzazione di Cure Palliative di qualità”, Professione Infermiere, n.1, 2012.
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