Quel giorno, quel primo maggio, ci furono uomini e donne ma soprattutto Professionisti e addetti alla gestione di incidenti in pista, che gestirono e vissero in prima persona quella tragedia sulla pista di Imola, in un elicottero del 118 e nel reparto di rianimazione dell’Ospedale Maggiore di Bologna .
Ci furono Professionisti che intervennero e si trovarono di fronte a un uomo che tutto il mondo amava e su cui avrebbero lavorato mettendoci anima e cuore.
A loro, a loro vorrei dire grazie, grazie perché so, a distanza di 27 anni, cosa vuol dire fare il nostro lavoro dando il massimo per tutti.
A loro che hanno tenuto per mano un mostro sacro della F1 e che il mondo li ha visti curare un Dio della velocità.
A loro vorrei dedicare queste righe che scrissi tanto tempo fa, perché io vidi quel dramma con gli occhi di una bambina e oggi mi ritrovo ad aver avuto l’onore di conoscere chi quel giorno c’era, oggi vorrei rendere onore a un uomo buono e a tutti coloro che quotidianamente lavorano nella sanità prendendosi cura del prossimo, indistintamente dal ruolo che ricoprono, perché il sistema opera grazie al lavoro di tutti.
Gli anni passano in fretta dopotutto. Passano da un pomeriggio di 27 anni fa dove eri col naso incollato alla tv, insieme a tuo padre, a guardare la tv. Passano gli anni e di gare di F1 se ne sono fatte, sorpassi, toccate, polemiche. Ma qua, nell’aria, ogni primo maggio si sente ancora il rombo dei motori (troppo silenzioso oggi). Mi ricordo che mio padre ogni tanto mi portava all’autodromo e dal parco delle acque minerali sentivi quel rombo, l’adrenalina, quella scarica al cuore che ti faceva scorrere energia lungo il corpo. Sono passati 20 anni e il ricordo di un uomo come Ayrton non abbandona chi era col naso incollato al televisore, chi la F1 la seguiva senza polemizzare sul fatto che un pilota avesse un compenso alto, perché, a dispetto di un calciatore, un pilota dei rischi ne aveva, perché stare col culo su un bolide ai 300 km/h è vagamente diverso da inciampare sui fili d’erba simulando il fallo. Chi seguiva e chi segue la F1 aveva e ha un rispetto quasi consacrato per i piloti. Ayrton era un Dio, con un carattere non facile probabilmente in campo, ma sfido chiunque ad averlo. Ma in pista….oh mio dio….era un grande, geniale, impulsivo, emozionante….e aveva la capacità di non esserlo solo li, in Brasile aveva creato la sua fondazione per aiutare i bambini negli orfanotrofi perché per lui “i ricchi non potevano vivere in un’isola circondata da un mare di povertà”. I grandi uomini sono quelli che lasciano un’impronta nella memoria delle persone, sono quelli che fanno gesti di una generosità tale da farli in silenzio, senza clamore. Sono uomini in grado di tenere le persone incollate col naso alla tv e il fiato sospeso. C’è poco da dire ma credo che pochi uomini abbiano stoffa da vendere, pochi uomini se ne vanno come hanno esordito, cavalcando la potenza di una macchina con la sua genialità. Ayrton indubbiamente fu uno dei grandi uomini che il mondo dello sport (quello vero) abbia mai avuto l’onore di avere, lui che abbandonó la vettura per aiutare Comas ferito durante un incidente nella gara del Belgio…..questo è Sport signori….quello era Senna gente. Quel Gran Premio di San Marino fu veramente tragico, Barrichello che rischió la vita, vita che venne poi strappata a Ratzemberger….steso sull’asfalto a ricordare al mondo la fragilità di chi doma bolidi che non perdonano….poi lui….la curva, la macchina che sbanda, la testa di Ayrton che si piega, una gomma…un braccetto….poi nulla….una vettura distrutta….i soccorsi….l’elicottero. Quel trauma devastante che rese impossibile salvare la vita a un Dio, a uno di quegli uomini che viveva ai 300 km/h, a quell’uomo capace di domare una vettura sotto piogge torrenziali regalandoci sorpassi mozzafiato, regalandoci uno sport senza violenza fra i tifosi perché, signori, quando si corre si guarda in religioso silenzio, senza cori, senza fumogeni, con il tripudio comunque a chi sale sul podio. Un uomo che disse che “i piloti sono per le persone più un sogno che una realtà” non poteva che avere il rispetto della gente. Un uomo del genere non ci è concesso averlo per sempre perché è un uomo che corre sempre sul filo della vita. Grazie per averci emozionato Ayrton.
Laura Berti, infermiera all’Ospedale Maggiore