Aveva 65 anni, era un infermiere ma qualcuno lo scambiava per ingegnere.
E forse, a un certo punto, era diventato persino inutile smentire l’equivoco, specificare che no, lui non era un ingegnere ma un orgoglioso e competente infermiere che amava il suo lavoro al punto da diventare uno dei padri di quello che oggi chiamiamo 118.
Mauro Sacchetti è morto sabato mattina. Aveva una moglie e una figlia. La famiglia ha acconsentito alla donazione degli organi, un ultimo messaggio lanciato da una persona che aveva fatto parte, tra le tante attività, delle équipe che volano per trasportare organi da un ospedale all’altro e salvare vite.
La sua esperienza inizia negli anni 70 , prestando servizio come volontario soccorritore nella Croce Italia. Quell’esperienza lo convince ad intraprendere gli studi per diventare infermiere. Da lì fu chiamato a far parte di Bologna Soccorso, il gruppo di professionisti che aveva il compito di progettare, attorno ad una Centrale Operativa Unica, un sistema coordinato di gestione dell’emergenza sul territorio. Era l’alba del 118.
Senza smettere di prestare servizio sulle ambulanze e poi anche sull’elisoccorso, in quel gruppo Sacchetti seguiva il settore della tecnologia e da subito comprese l’importanza che l’informatica avrebbe ricoperto nella circolazione delle informazioni. Fu lui ad introdurre in Centrale i primi personal computer, ad approfondire il linguaggio Basic, erano gli anni Ottanta, e soprattutto a lavorare perché vi fosse una integrazione tra i vari sistemi di telefonia, radiocomunicazione e informatici, così da ottenere la circolarità dei dati.
Negli anni 90 integrò il sistema dei cercapersona e dei primi cellulari con quello della centrale Operativa e all’inizio del nuovo millennio introdusse, primo in Italia, il VOIP come sistema di fonia per il 118. Una scelta poi condivisa da tutte le altre centrali 118 del Paese.
Uno sguardo attento, quello di Mauro Sacchetti, verso l’innovazione tecnologica, una risorsa da applicare immediatamente nel concreto per far progredire il sistema 118 e quindi garantire, sempre più, sempre meglio, la salute dei cittadini.
Il Consiglio Direttivo dell’Ordine lo vuole ricordare con le testimonianze dei suoi colleghi e “compagni di viaggio” di una vera e propria avventura umana e professionale che oggi porta il nome di 118. Il 118 di Bologna.
Ciao Mauro,
oggi ti abbiamo perso, per sempre. Ma quanta strada siamo riusciti a fare insieme. Siamo partiti giovanissimi dalla nostra rabbia per i tanti che perdevano la vita senza soccorso e abbiamo trasformato la rabbia in progetto, in voglia di indurre un cambiamento forte, in sogno.
E il sogno si è realizzato. Tante persone si sono unite al nostro cammino portando fiducia e forza.
Ora che il sogno è realtà, proprio ora ti perdiamo. Ora che potevamo stare insieme, finalmente sereni, accarezzando il passato e sfiorando le tante ansie, i timori e le esitazioni del nostro cammino.
Ma ti sentiamo ancora tra noi, per sempre, sulla panchina delle nostre vite.
Daniele, Enea, Luciano, Massimo, Marco, Stefano
Dati i tempi, può sembrare strano che sia un medico a ricordare un infermiere.
Ancor più se la parte di ricordi che abbiamo in comune, io e Mauro Sacchetti, riguarda un periodo in cui non eravamo né io medico, né lui infermiere; facevamo i volontari in una delle Pubbliche Assistenze che, negli anni ’70, iniziavano a nascere e a crescere.
Fu senz’altro quella esperienza che ci portò a proseguire la nostra strada, professionale e di vita, nel mondo del soccorso sanitario, mescolando aspetti tecnico-professionali ed aspetti umani, come quando, essendo lui diventato infermiere prima che io raggiungessi la laurea, gli chiesi di vestire il mio nonno, deceduto in casa, o come quando portai con me lui e sua moglie Sandra, al nono mese di gravidanza, in montagna a fare sci di fondo. Mi piace pensare che fu anche per quello che sua figlia Anna sia nata così “pimpante”.
Qualcuno, in questi giorni ha detto che Mauro era un carattere “spigoloso”. Vero; aveva raggiunto “con le unghie e con i denti” (sono parole sue) un grosso traguardo ed era normale che lo difendesse, anche da avversari solo potenziali. È comunque sempre una cosa positiva parlarsi a viso aperto; nei momenti di contrasto non ci siamo mandati a dire le cose. Ma è sempre molto meglio così. Poi, esaurito l’argomento di dibattito, tutto finiva lì.
E poi, di fronte al fatto che una persona con la quale hai condiviso molta parte della tua gioventù (e non solo) se ne sia andata così presto, credo che sia importante dare valore alle cose che hanno fatto la sostanza della vita, con il suo sale e il suo pepe, ma almeno molto saporita e degna di essere vissuta e ricordata.
Stefano Badiali