Una dieta troppo ricca di sale fa male all’organismo ed è associata ad un aumentato rischio di malattie cardio e neurovascolari e demenza. Uno studio, appena apparso su Nature Neuroscience, ha mostrato che un eccessivo apporto di sodio compromette le capacità cognitive e ha svelato che ciò accade mediante un sorprendente meccanismo di natura immunitaria che origina nell’intestino.
L’effetto «deleterio del sale sul cervello e sulla cognizione, che era attribuito all’ipertensione, ne è indipendente» ci spiega Costantino Iadecola, direttore del Brain and Mind Research Institute della Weil Cornell Medical School di New York e autore dello studio condotto in vitro e in vivo. «I nostri topi, nutriti per due mesi con una dieta ricca di sale, sviluppano demenza anche in assenza di elevata pressione arteriosa».
UN RIDOTTA IRRORAZIONE CEREBRALE
I ricercatori hanno visto che nell’intestino degli animali si scatena una risposta immunitaria capace di ridurre il flusso ematico cerebrale. Lo studio, che associa un alto apporto di sale nella dieta con disturbi neurovascolari e cognitivi, è stato condotto su dei topi nutriti per due mesi con una dieta molto ricca di sale.
Dopo otto settimane, la risonanza magnetica funzionale ha rivelato una riduzione del flusso sanguigno nel cervello; l’irrorazione cerebrale è ridotta del 28% nella corteccia e del 25% nell’ippocampo, entrambe aree cruciali per la cognizione. Il ritorno ad una dieta equilibrata ha garantito il miglioramento delle prestazioni degli animali e anche del fisiologico flusso sanguigno.
TROPPO SODIO PROVOCA RISPOSTA IMMUNITARIA NELL’INTESTINO
Il consumo eccessivo di sale è fra le cause dell’insorgenza di gravi patologie dell’apparato cardiovascolare, quali l’infarto del miocardio e l’ictus, correlate all’ipertensione arteriosa indotta dal sodio. In questo caso il meccanismo svelato per la prima volta dai ricercatori è diverso. Ma come funziona questo nuovo asse intestino-cervello che collega le abitudini alimentari al decadimento cognitivo?
Con tre altri esperimenti successivi condotti in vitro, i ricercatori hanno analizzato il meccanismo sottostante. Hanno visto che il sodio determina un aumento dei linfociti Th17; ciò favorisce il rilascio di una proteina, l’interleuchina 17 (IL-17), da parte dei linfociti.
IL-17 agisce sulle cellule endoteliali cerebrali, che ricoprono la parte interna dei vasi e ne regolano il flusso di sangue tramite la produzione di ossido nitrico, un vasodilatatore. L’aumentata IL-17 in circolo va ad agire proprio lì, alterando così il flusso ematico. Lo stesso meccanismo è in atto nelle cellule endoteliali umane.
LE POSSIBILI RICADUTE CLINICHE
Così come era accaduto con una riduzione del sale ingerito, i topi hanno mostrato un miglioramento delle prestazioni cognitive e comportamentali anche quando sono stati trattati con un anticorpo contro IL-17. Questo farmaco «contrasta gli effetti cerebrovascolari e cognitivi della dieta ricca di sale e può aiutare chi soffre di malattie o condizioni associate ad elevati livelli di IL-17, come la sclerosi multipla, malattie infiammatorie croniche intestinali e altre malattie autoimmuni» ha detto Giuseppe Faraco, neuroscienziato della Weill Cornell Medical School e autore dello studio.
IL CONSUMO DI SALE PIÙ ALTO DEL MONDO È IN KAZAKISTAN
La riduzione del sale nella dieta è una delle priorità dell’Oms nell’ambito delle strategie di prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili e anche la ricerca continua. «Il consumo medio di sale nella dieta più alto del mondo è stimato in Kazakistan (con un picco di 20 grammi al giorno, o circa 3-4 cucchiaini di sale), che è circa 5 volte la quantità ideale raccomandata dall’American Heart Association (3,75 g / giorno di sale = 1,5g di sodio) – ci spiega il professor Iadecola – In Europa (Italia) e Nord America il consumo di sale è di 9-10 g / giorno (2-3 volte il livello consigliato). Nel nostro studio abbiamo usato 8-16 volte il contenuto di sale della dieta del mouse, imitando la fascia alta del consumo di sale umano nella dieta».
«Questo studio si aggiunge alla nostra crescente comprensione di come l’intestino può modulare il funzionamento cerebrale», ha detto Jim Koenig del NINDS (National Institute of neurological disorders and stroke) degli Istituti nazionali di sanità, NIH, finanziatori dello studio. «Dal punto di vista della salute pubblica, il fatto che questi effetti possano essere invertiti arrestando l’ingestione di sale è molto importante e potrebbe aiutarci a migliorare la salute nelle aree in cui molte persone mangiano diete meno sane».
Fonte La Stampa