Si addormentano con difficoltà e si svegliano tante volte nel cuore della notte, oppure una sola ma ben prima dell’alba, pur non dovendo andare in ufficio.
CON POCO SONNO AUMENTA RISCHIO DI UN DECADIMENTO COGNITIVO
«Dopo i 65 anni, la quantità di sonno necessaria a stare bene si riduce sensibilmente e fisiologicamente – afferma Raffaele Antonelli Incalzi, responsabile dell’unità operativa complessa di gerontologia del Campus Biomedico di Roma -. Se da adulti non bisogna scendere sotto le sei ore a notte e in media se ne devono dormire da sette a nove per stare bene, in un anziano si può scendere a cinque ore senza ripercussioni. Con l’andare degli anni, poi, la sincronizzazione dell’orologio biologico con il ciclo luce-buio si indebolisce e capita più spesso di appisolarsi anche di giorno: il numero totale di ore di sonno perciò di fatto non cambia molto, ma la percezione è un declino del benessere perché restare svegli a lungo di notte è spiacevole e il sonno notturno è più riposante».
Il vero problema infatti è la qualità del sonno dell’anziano, più scarsa. I dati mostrano evidenti differenze fra uomini e donne. Ma a prescindere dai motivi, in entrambi i sessi il risultato è un sonno disturbato, in cui si riduce la durata del sonno profondo e aumentano i «micro-risvegli». «Questi non incidono sulla durata complessiva del riposo, ma lasciano la sensazione di non aver dormito abbastanza».
Tutto questo ha conseguenze sullo stato di salute generale che va dalle alterazioni dell’umore all’affaticabilità, dalla ridotta capacità di concentrazione all’aumento del rischio di cadute. Lo scarso sonno è inoltre un fattore di rischio anche per il decadimento cognitivo correlato all’età.
COME TORNARE A DORMIRE BENE?
«Per tornare a dormire bene occorre prendere piccole precauzioni e sfatare alcune leggende metropolitane – osserva Nicola Ferrara, ordinario di medicina interna e geriatria all’Università Federico II di Napoli e presidente della Sigg-. Innanzitutto, può essere necessario rivedere le terapie in corso. Molti farmaci assunti durante la terza possono compromettere il sonno: è il caso di beta-bloccanti e dei diuretici. Poi ce ne sono altri che possono indurre sonnolenza: come gli antidepressivi e i farmaci che assumono i parkinsoniani».
Una valutazione attenta delle terapie in corso, con un’eventuale modifica, può a volte essere risolutiva. Rimedi efficaci? La melatonina può aiutare in alcuni casi, mentre non ci sono prove dell’efficacia della valeriana.
Sì eventualmente alle benzodiazepine per indurre l’addormentamento e il mantenimento del sonno, ma soltanto se assunte sotto stretto controllo medico. Anche uno stile di vita corretto aiuta a dormire meglio.
«Mangiare i carboidrati alla sera facilita il sonno, così come fare una buona attività fisica per almeno 30-40 minuti a giorni alterni: scegliendo discipline dolci, come per esempio il tai-chi, che si sono dimostrate utili per mantenere un buon ritmo del sonno – aggiunge Ferrara -. L’importante è non trascurare mai un disturbo del sonno, perché può essere la spia o la prima manifestazione di altre malattie».