“Gli operatori sanitari sono i nuovi pazienti”. L’allarme viene lanciato dalla psichiatra Marina Cannavo’, che descrive le conseguenze psicofisiche che colpiscono gli operatori sanitari vittime di aggressione. Da uno studio, non ancora pubblicato, la psichiatra ha rilevato come l’utilizzo di psicofarmaci, la tendenza alla depressione e al suicidio sia in aumento fra gli operatori sanitari che hanno subito aggressioni.
“Da diversi anni mi occupo di violenza nei confronti degli operatori sanitari- ha continuato- da parte di pazienti e dei familiari. Un fenomeno in cui la violenza fisica rappresenta soltanto la punta dell’iceberg di un fenomeno ben più diffuso e complesso. In realtà la vera violenza è quella verbale, quella psicologica, quella che avviene giorno dopo giorno in tutti i settori della sanità pubblica, soprattutto nell’area delle emergenze. L’Organizzazione mondiale della sanità riconosce la violenza come il più importante fattore di rischio lavorativo per il benessere e la salute degli operatori sanitari”. E i numeri sono preoccupanti.
Secondo lo studio osservazionale sul fenomeno, condotto dal professor Giuseppe La Torre, si rileva come il 40,8% degli operatori aggrediti soffrano di ansia, il 21,3% di disturbi del sonno e il 15,6% di depressione. Il problema è che in Italia la violenza non è riconosciuta come un importante fattore di rischio lavorativo “perché non è compresa nel decreto 81 del 2008, quindi la cosa importante, e la prima cosa che bisognerebbe fare, èm riconoscere la violenza come fattore di rischio lavorativo importantissimo per il benessere e la salute dei lavoratori. La mia ricerca ha coinvolto medici, infermieri, tecnici, tutte le figure professionali che lavorano nell’ambito sanitario pubblico e mi sono resa conto che ci sono tante problematiche dopo che gli operatori hanno subito violenze che creano purtroppo gravi conseguenze sull’operatore, non solo a breve termine, ma soprattutto a medio lungo termine.
Quindi è un problema che va assolutamente affrontato non solo a livello gestionale, ma anche a livello preventivo riconoscendo quali sono le conseguenze sugli operatori sanitari e prendendo provvedimenti, non solo a livello organizzativo nelle strutture sanitarie, ma anche a livello individuale. Quando l’operatore viene aggredito deve essere preso in cura, deve essere trattato prima che queste conseguenze si cronicizzino”. Ma la realtà è un’altra, “gli operatori sono spesso abbandonati a se stessi- ha concluso Cannavo’- continuano a lavorare nonostante le aggressioni, continuano a prendersi cura dei pazienti, ma ne va del benessere dell’operatore, delle aziende e soprattutto della qualità delle cure nei confronti dei cittadini”.
Danilo Di Lorenzo
Fonte: Agenzia DIRE