Sono gli infermieri la categoria piu’ esposta in ambito ospedaliero: il 75% degli incidenti consiste in punture e lesioni, il 25% in contaminazione con sangue e liquidi biologici. Ma solo 1 ospedale su 2 utilizza dispositivi di sicurezza (RED.SOC.)
ROMA – La meta’ degli ospedali italiani non rispetta le regole di sicurezza nell’uso di aghi: e’ questa una delle principali cause di incidenti a rischio biologico per gli operatori sanitari. Con 130 mila casi l’anno, questo tipo di incidenti rappresenta una vera e propria emergenza nel nostro Paese: il 75%, cioe’ quasi 100 mila esposizioni, consiste in punture accidentali con aghi e lesioni da taglienti e il 25% da contaminazioni mucose e cutanee con sangue e altri liquidi biologici.
E’ quanto emerge dal primo Osservatorio Italiano 2017 sulla Sicurezza per gli operatori sanitari: due infermieri su tre ammettono di mettere in pratica almeno un comportamento rischioso. E’ questo uno dei principali affrontati oggi, in occasione del 6° Summit organizzato dall’European Biosafety Network, con il supporto incondizionato di Becton Dickinson.
I referenti delle istituzioni europee e italiane, nonche’ delle associazioni professionali della sanita’, si confrontano per fare il punto sulle procedure di sicurezza all’interno degli ospedali italiani e per individuare le possibili azioni da intraprendere per garantire la sicurezza a tutti gli operatori sanitari.
“L’Italia ha una eccellente legislazione sulla sicurezza del lavoro, tuttavia per quanto attiene l’adozione dei dispositivi di sicurezza, che dovrebbero andare a sostituire gli strumenti che l’operatore usa quotidianamente per svolgere il suo lavoro e che lo mettono a rischio di infezioni, molto deve essere ancora fatto. – dichiara Gabriella De Carli, infettivologa presso l’Istituto nazionale per le Malattie infettive Lazzaro Spallanzani – Anche i piu’ recenti dati disponibili evidenziano infatti ancora una disomogeneita’ di utilizzo a livello italiano. C’e’ sicuramente una maggiore attenzione al problema, ma molto resta da fare. Abbiamo evidenziato come, implementando tutti gli interventi preventivi previsti che includono l’adozione di aghi e dispositivi di sicurezza, si possa ridurre drasticamente il fenomeno infortunistico”.
Quella dell’infermiere, insomma, e’ tuttora una professione ad altro rischio infortunistico: l’infermiere, seguendo il paziente 24 ore su 24, e’ colui che ha piu’ degli altri a che fare con taglienti e pungenti come gli aghi per le flebo, per la terapia iniettiva e per i prelievi, bisturi, forbici e quanto altro per il cambio delle medicazioni – specifica Barbara Mangiacavalli, presidente della federazione nazionale Collegi infermieri (Ipasvi) e purtroppo e’ ancora elevato il numero di infortuni a rischio biologico derivante da queste ferite: il 63% degli incidenti coinvolgono aghi cavi, la meta’ dei quali pieni di sangue, il 19% aghi pieni, il 7% bisturi. Circa il 75% delle esposizioni si verifica quindi in relazione a procedure per le quali sono in larga misura disponibili dispositivi intrinsecamente sicuri. Possiamo affermare che gli infermieri sono la categoria maggiormente esposta al rischio – continua – anche perche’ rappresentano i 2 terzi del totale degli operatori”.
Per quanto riguarda la manipolazione di aghi e taglienti i dati emersi dall’Osservatorio evidenziano alcune criticita’: due infermieri su tre ammettono di mettere in pratica almeno un comportamento che li mette a rischio di incidenti per puntura o taglio (66%); un terzo degli infermieri (32%) reincappuccia gli aghi usati, manovra esplicitamente proibita dal 1990 e ulteriormente ribadita nella nuova legislazione. Anche lo smaltimento dei dispositivi contaminati nel 40% dei casi avviene in contenitori impropri, generando anche per il personale non sanitario, come ad esempio gli addetti alle pulizie, il rischio di pungersi.
“Gli operatori sanitari purtroppo antepongono spesso la sicurezza del paziente allo loro e, per assistere nell’immediato il paziente, mettono a rischio se stessi. – commenta De Carli – Certamente fornire dispositivi piu’ sicuri per le procedure a rischio e per lo smaltimento e’ necessario, ma non sufficiente. Occorre operare un cambiamento culturale, a partire dai Direttori Generali delle aziende sanitarie, che vanno coinvolti nel processo decisionale relativo all’allocazione delle risorse per la sicurezza, fino al singolo operatore, che non deve mai sottostimare i rischi.
Con l’adozione di opportuni piani di prevenzione, formazione e introduzione dei dispositivi sicuri, si potrebbero evitare fino a 53.000 incidenti a rischio biologico, 550 mila ore lavorative perse e 16 mila giornate di malattia. – conclude De Carli – Per dare un ordine di grandezza, ogni anno in Italia vengono spesi almeno 36 milioni di euro per far fronte alle conseguenze delle ferite accidentali da aghi cavi, cifra che potenzialmente potrebbe aumentare considerando che la meta’ degli incidenti non viene denunciata dagli operatori, il piu’ delle volte per sottovalutazione del rischio o per modalita’ di notifica troppo complesse”. (www.redattoresociale.it)