Una banale carenza di ferro nel sangue potrebbe rappresentare un fattore scatenante per molti disturbi cardiaci. A evidenziare questa correlazione è stato uno studio condotto da ricercatori dell’Imperial College di Londra, che ha utilizzato tecniche di analisi genetica per svelare, per la prima volta, come i livelli di ferro ematico siano direttamente correlati al rischio di malattie coronariche, in cui le arterie che apportano sangue al cuore tendono a ostruirsi a causa del progressivo accumulo di grassi sulle pareti interne.
«Studi precedenti hanno suggerito un legame tra i livelli di ferro e le malattie cardiache, tuttavia è sempre risultato difficile isolare questi fattori da altri fattori confondenti» ha commentato l’autore dello studio Dipender Gill.
Nella ricerca pubblicata sulla rivista Arteriosclerosis, Thrombosis, and Vascular Biology, il team di ricercatori londinesi ha identificato tre particolari varianti genetiche che influenzano in modo positivo o negativo i livelli di ferro ematico.
Mettendo in relazione queste varianti genetiche con l’incidenza di disturbi cardiaci in un campione di 50.000 pazienti, i ricercatori hanno poi osservato per la prima volta come livelli elevati di ferro nel sangue rappresentino un fattore protettivo contro le malattie coronariche, il cui rischio aumenta anche in presenza di livelli di ferro leggermente ridotti, non necessariamente riconducibili a uno stato di anemia.
Alle donne servono 18 mg al giorno
Il ferro è un oligoelemento essenziale per il nostro organismo, che svolge un ruolo importante in molti processi biologici, tra cui il trasporto dell’ossigeno all’interno delle cellule. Quando questo minerale non è presente a livelli ottimali, le cellule di tutto il corpo entrano in uno stato di sofferenza che li porta progressivamente all’infiammazione e alla morte. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, ogni maschio adulto dovrebbe assumere ogni giorno circa 10 mg attraverso l’alimentazione, mentre il fabbisogno per le donne aumenta fino a 18 mg: una quantità elevata, che tiene conto anche del fatto che buona parte del ferro assunto con il cibo (fino al 90%) non viene assorbito dall’organismo.
«Mantenere il ferro a livelli ottimali è molto importante, poiché sia livelli troppo bassi che troppo alti possono portare a disturbi» raccomandano i ricercatori dell’Imperial College. Il prossimo passo degli scienziati sarà quello di validare questi risultati in uno studio clinico randomizzato in doppio cieco, in cui sarà studiata l’incidenza di malattie coronariche in un campione di pazienti sottoposti a supplementazione con integratori di ferro o con placebo. Solo al termine di questo studio sarà possibile affermare se una dieta bilanciata o una supplementazione di ferro possa rappresentare un espediente efficace per prevenire molti disturbi cardiaci potenzialmente mortali.
Fonte La Stampa