Più è alta la concentrazione di colesterolo nel sangue è maggiori sono le probabilità di andare incontro ad eventi cardiovascolari. Tenerne a bada i livelli dunque è più che mai fondamentale, soprattutto in chi è stato colpito da infarto o ictus. Eppure ci sono casi in cui -in particolare le forme genetiche- abbassare il colesterolo è estremamente difficile. In questi frangenti l’unica soluzione è rappresentata da un’innovativa classe di farmaci, gli inibitori della proteina PCSK9. Progettati a metà degli anni duemila questi anticorpi si sono dimostrati efficaci sia nel ridurre i livelli di colesterolo -nell’immediato- sia di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari -nel medio-lungo periodo-. Una vera e propria rivoluzione raccontata nei giorni scorsi a Washington al congresso dell’AAC, l’American College of Cardiology.
Nel corpo umano la presenza dei lipidi è di fondamentale importanza. Molte strutture della cellula sono infatti composte dai grassi come fosfolipidi, trigliceridi e colesterolo. In particolare quest’ultimo è importante per la sintesi della membrana cellulare, della bile e anche di alcuni ormoni. Se non lo introduciamo attraverso la dieta il nostro corpo è comunque costretto a produrlo. Dati sin dagli anni ’60 hanno mostrato che più sono elevati i suoi livelli è maggiore è il rischio di malattie cardiovascolari. In particolare il colesterolo LDL, quello comunemente chiamato «cattivo», accumulandosi a livello delle arterie contribuisce notevolmente allo sviluppo di infarti e ictus.
Quando alimentazione e farmaci tradizionali non bastano
Mentre in molti casi un’alimentazione controllata, attività fisica e farmaci tradizionali sono sufficienti per ritornare ad un valore di colesterolo ideale, in alcune persone tutto ciò non basta. E’ questo il caso di chi soffre di ipercolesterolemia familiare, una patologia di origine genetica che nella sua forma meno grave affligge una persona su 200. Ad oggi oltre l’80% di queste persone non ha una cura efficace ma ancora peggiore è la situazione di chi soffre della forma omozigote: nei casi più gravi gli eventi cardiovascolari si manifestano già a partire dall’infanzia. Nella malattia ad essere alterato è un gene che produce un recettore capace di «catturare» il colesterolo circolante a livello sanguigno e trasportarlo all’interno della cellula. Quando è mutato, la funzione del recettore risulta ridotta e per questa ragione i livelli di colesterolo si innalzano. Nel 2003 si è scoperto che la proteina PCSK9 è implicata nel trasporto e nella distruzione di questi recettori.
Togliere il colesterolo dal sangue grazie agli anticorpi
Partendo da questa evidenza gli scienziati hanno sviluppato delle molecole capaci di contrastarne la funzione con l’obbiettivo di aumentare la disponibilità di queste «antenne» capaci di catturare il colesterolo. E’ questo il caso di evolocumab (sviluppato da Amgen) e alirocumab (sviluppato da Sanofi Regeneron), i primi anticorpi a sbarcare sul mercato. Numerosi studi pubblicati in questi ultimi anni -effettuati in particolare in persone affette da ipercolesterolemia familiare- hanno dimostrato che attraverso questi trattamenti è possibile ridurre in maniera drastica i livelli di colesterolo. Riduzioni mai registrate prima con le sole statine.
Il rischio infarto si riduce
Ma se la riduzione dei livelli di colesterolo è stata ormai documentata da tempo, la vera novità che emerge dal congresso statunitense è la prima dimostrazione che attraverso questo approccio, all’abbassamento del colesterolo corrisponde una riduzione del rischio di infarti del 27% e del 21% per quanto riguarda l’ictus. I risultati provengono dallo studio FOURIER -effettuato su oltre 27 mila persone in trattamento con evolocumab- pubblicato in contemporanea al congresso sul New England Journal of Medicine. Come spiega Marc S. Sabatine, professore presso l’Harvard Medical School, «Per la prima volta siamo riusciti a dimostrare che la riduzione del colesterolo cattivo attraverso l’inibizione del PCSK9 risulta in un beneficio cardiovascolare clinicamente significativo. Questi benefici sono stati possibili portando il colesterolo LDL fino a una mediana di 30 mg/dL, molto al di sotto degli attuali target, e più i pazienti rimanevano in trattamento e maggiore era la riduzione del rischio. Tali risultati supportano la necessità di una riduzione del colesterolo LDL molto consistente e a lungo termine in pazienti con malattia cardiovascolare». Risultati rivoluzionari, soprattutto per chi non ha alternative come le persone che soffrono di ipercolesterolemia familiare omozigote.
FONTE LA STAMPA