Lo si fa per la salute degli altri, ma ormai non ci sono dubbi: i benefici valgono anche per quella propria. Donare il sangue, come fanno ogni anno 1,7 milioni di italiani, è una scelta che contribuisce a migliorare la salute anche di chi compie il nobile gesto. Maggiore attenzione alla prevenzione, via libera all’adozione di stili di vita più sani, nuovi rapporti sociali da coltivare: recarsi con regolarità in un centro trasfusionale aiuta a salvare le vite degli altri e a prendersi un po’ più cura pure della propria. Quello che era il punto di vista di quasi tutti gli specialisti, è stato adesso sancito da un’indagine condotta su oltre mille donatori.
A volerla è stata l’Associazione Volontari Italiani Sangue (Avis), che per il suo novantesimo anniversario ha realizzato una ricerca mirata a valutare il ritorno sociale, economico e sanitario di una scelta che, assunta singolarmente, può contribuire al salvataggio di tre vite umane. L’indagine, condotta in collaborazione con il Cergas Bocconi, ha chiamato in causa oltre mille donatori abituali. Dai dati raccolti, presentati per la prima volta lunedì a Montecitorio, è emerso che circa il 13 per cento dei donatori ha potuto usufruire di una diagnosi precoce attraverso i test sierologici e le visite specialistiche che precedono la donazione.
Un aspetto che, oltre ad aumentare le chance di guarigione del donatore, ha contribuito a determinare un risparmio per le casse del Servizio Sanitario Nazionale. Ma sono state soprattutto le modifiche apportate al proprio stile di vita a rafforzare l’opportunità di una simile scelta. Più di un donatore su due (il 56,8 per cento) ha affermato di aver cambiato le proprie abitudini a tavola proprio in ragione dell’appartenenza a un’associazione di volontariato, mentre più di uno su tre (47,8 per cento) ha ridotto il consumo giornaliero o settimanale di alcolici.
A ciò occorre aggiungere la quota di poco superiore (42,3 per cento) di adulti che ha ridotto o progressivamente eliminato il vizio del fumo e l’aumento del tempo dedicato all’attività fisica dichiarato dagli intervistati. Come dire: seppure non si ritenesse sufficiente la possibilità di salvare la vita di un’altra persona, ecco altre quattro buone ragioni per donare il sangue.
I RISVOLTI SOCIALI
«La Vis di Avis» – questo il nome dato alla ricerca – si è soffermata inoltre sui benefici in campo relazionale e sociale. Pure in questo caso i risultati sono stati favorevoli alla donazione, se poco meno di un volontario su tre ha dichiarato di aver stretto nuovi rapporti con altri associati: con una media di 5,1 nuove persone conosciute. Una quota molto alta dei donatori – superiore a due terzi – ha affermato di «aver accresciuto il senso di soddisfazione e autorealizzazione dalla partecipazione alle attività dell’associazione». Mentre quasi un terzo di essi, dopo aver compiuto il nobile gesto, s’è dimostrato più sensibile ad altre cause di volontariato, dichiarandosi pronto ad aumentare le erogazioni liberali nei confronti di altre organizzazioni non profit.
LA GESTIONE DELLE EMERGENZE
Facendo leva sulle positive ricadute sanitarie e sociali, l’auspicio dell’Avis, fondata a Milano nel 1927 e oggi in grado di arruolare oltre un milione di donatori, è quello di incrementare il numero dei donatori italiani. Grazie alle donazioni su base volontaria, da tempo il Paese è autosufficiente nel garantire le terapie trasfusionali a tutti i bisognosi. Ma ci sono alcuni momenti dell’anno – in inverno durante l’epidemia influenzale e in piena estate – in cui il numero dei donatori cala e le scorte si assottigliano.
La gestione ordinaria, in molti casi, non viene posta a rischio. Ma è in concomitanza con un’emergenza, come quelle recenti verificatesi in occasione dell’incidente ferroviario di Andria e del terremoto di Amatrice, che la riduzione delle scorte rischia di manifestarsi in maniera improvvisa. Da qui la necessità di «educare i donatori e la cittadinanza alle situazioni di emergenza, ricordando che il modo migliore per sostenere le necessità trasfusionali è una donazione di sangue ed emocomponenti programmata, periodica e associata», per dirla con le parole di Aldo Ozino Caligaris, presidente nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue (Fidas).
INDICAZIONI PER DIVENTARE DONATORI
Vale allora la pena ricordare che si può donare il sangue a partire dai 18 anni e fino ai 70, considerando però che nell’ultimo quinquennio la donazione è consentita da poco più di un anno, previa però «valutazione clinica dei principali fattori di rischio correlati all’età» da parte dei medici del centro trasfusionale a cui ci si rivolge. Il sangue donato può essere utilizzato interamente o nelle sue donazione singole componenti – piastrine, plasma, globuli rossi – per trattare un’ampia gamma di condizioni: dalla talassemia all’emorragie durante il parto, dalla penuria di globuli rossi e piastrine che affrontano i malati oncologi sottoposti a chemioterapia alle necessità che possono riguardare le vittime di guerre o di disastri naturali.
Senza trascurare tutti quei pazienti prossimi a sottoporsi a un trapianto d’organo o a un intervento chirurgico invasivo, nel corso del quale non di rado si rende necessario il ricorso a una trasfusione di sangue. Aiutarli è semplice. Al termine di un colloquio con uno specialista, il volontario definisce il tipo di donazione più indicata: sangue intero o aferesi (plasma o piastrine). Segue un prelievo necessario ad accertare l’idoneità e propedeutico alla donazione, che può essere ripetuta ogni tre (per gli uomini) o sei mesi (le donne). Si può donare con maggior frequenza (ogni quindici giorni) a seguito di una procedura di aferesi.
Fonte La Stampa