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Legionella: non temete, l’acqua si può bere

Legionella: non temete, l’acqua si può bere

Legionella: non temete, l’acqua si può bere
| domenica 9 Ottobre 2016

A una domanda, che è poi tra le più ricorrenti giunte in redazione, si può rispondere senza ombra di dubbio. I cittadini di Parma che abitano nel quartiere in cui si sono registrati i recenti casi di legionella possono continuare a bere tranquillamente l’acqua del rubinetto.

L’infezione, provocata da un batterio gram negativo (legionella pneumophila), si contrae infatti per via inalatoria e non orale. Allo stesso modo possono stare tranquilli i parenti delle persone infette. Il contagio interumano da legionella è da escludere (mai provato finora).

La legionellosi, la cui gravità è rappresentata dal rischio di generare polmoniti fulminanti, si contrae venendo a contatto con acque stagnanti, incrostazioni e sedimenti. Motivo per cui il primo consiglio che viene dato in queste ore ai parmigiani è quello di far scorrere l’acqua per almeno un paio di minuti e pulire con un anticalcare i filtri del rubinetto e delle docce.

IN CASA ATTENZIONE AI FILTRI DEI CONDIZIONATORI

La legionellosi è una malattia che può portare alla morte dei pazienti colpiti per le complicanze respiratorie generate per l’appunto da una polmonite grave, che in genere richiede un periodo di incubazione di 5-7 giorni (durante i quali la malattia non è ancora manifesta). L’evoluzione meno grave prevede l’insorgenza si una sindrome simil-influenzale.

Gli ultimi dati disponibili presso l’Istituto Superiore di Sanità descrivono 1497 casi di legionellosi nel 2014, di cui 1456 confermati dalle indagini di laboratorio. Il 76 per cento di questi dei casi è stato notificato da sole sei Regioni: la Lombardia, il Veneto, l’Emilia-Romagna, la Toscana, il Lazio e il Piemonte. Si osserva dunque un gradiente decrescente della malattia, da Nord a Sud.

Più che nelle abitazioni, il contagio è frequente in campeggi, hotel, navi, villaggi turistici. Vengono considerati più esposti al rischio anche i manutentori degli impianti di condizionamento, dal momento che il batterio responsabile della malattia può annidarsi anche nei filtri dei condizionatori. La proliferazione batterica è favorita da ambienti caldi (temperatura dell’acqua tra 25 e 45 gradi) e umidi (oltre il 65 per cento).

DIAGNOSI A PARTIRE DALLE URINE

La diagnosi, come nella maggior parte dei casi, avviene attraverso la rilevazione dell’antigene solubile del batterio nelle urine. Per la conferma si può ricorrere agli esami sierologici, all’isolamento del microrganismo da un prelievo di tessuto proveniente dall’apparato respiratorio o attraverso tecniche di biologia molecolare (Pcr) che permettono di amplificare il Dna batterico.

Una volta scoperta la malattia, un ricovero medio si aggira sui 10-12 giorni. Relativamente ai dati del 2014, l’esito della malattia è noto per il 45,6 per cento dei pazienti. La quasi totalità di essi (89,1 per cento) è guarita, mentre il restante 10,9 per cento è deceduto.

L’esito fatale dell’infezione può essere accelerato dalla concomitante presenza di altre malattie, prevalentemente di tipo cronico-degenerativo: diabete, ipertensione, tumori e bronco pneumopatia cronico ostruttiva. Per questo generalmente i pazienti anziani sono considerati i più a rischio. A luglio l’allarme era scattato a Firenze e a Chieti, dove s’era resa necessaria un’opera di disinfezione anche nel locale ospedale: pur essendo in vigore in tutti i nosocomi un apposito piano di prevenzione.

FONTE LA STAMPA

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