Negli ultimi 30 anni la durata media di un ricovero ospedaliero si è ridotta di parecchio, a tal punto che 1 paziente su 5 viene dimesso troppo presto, aumentando così il rischio di nuovi ricoveri e di complicazioni che possono causare la morte.
E’ il risultato, in sintesi, di uno studio condotto dai ricercatori dell’UT Southwestern Medical Center, e pubblicato sul Journal of General Internal Medicine.
”Abbiamo riscontrato che circa il 20% degli adulti ricoverati vengono dimessi con uno o più segni vitali ancora instabili, come l’elevato battito cardiaco o la pressione sanguigna bassa”, precisa Oanh Nguyen, coordinatore dello studio. ”Si tratta di un risultato importante per la sicurezza, perchè i pazienti con anomalie al giorno della dimissione, hanno maggiori tassi di ricoveri e di morte nei 30 giorni successivi, anche dopo aver modificato alcuni fattori di rischio”.
Nello studio, i ricercatori hanno analizzato le cartelle cliniche di oltre 32mila pazienti ricoverati in 6 ospedali di Dallas. Nel 20% dei casi, sono stati rilevate anomalie nella temperatura corporea, nella respirazione e nella saturazione dell’ossigeno nel sangue nelle 24 ore successive alla dimissione.
Il 13% di questi pazienti è stato nuovamente ricoverato in ospedale per la gestione di tali disturbi. I pazienti con più anomalie nei parametri vitali hanno visto quadruplicare la probabilità di morte.
”E’ importante che i medici guardino tutti i segni vitali nelle 24 ore precedenti la dimissione e non solo gli ultimi valori o i migliori, nel valutare le condizioni del paziente”, aggiunge Ethan A. Halm, uno dei ricercatori.
Secondo i ricercatori quindi, le linee guida sulle dimissioni dovrebbero includere criteri oggettivi sui segni vitali, dimettere con cautela chi ha una sola anomalia, seguire da vicino i dimessi e spiegargli bene i sintomi allarmanti che meritano una visita medica urgente. Chi ha due o più anomalie nei segni vitali dovrebbe invece rimanere in ospedale per continuare la terapia e rimanere sotto osservazione.
Fonte: ANSA