Per chi se ne intende, non è una novità. Ma viste le comunicazioni divergenti giunte a più riprese negli ultimi mesi, il messaggio punta a fare chiarezza tra i consumatori. Coi grassi, a tavola, è meglio non esagerare. Chi ne mangia troppi corre un rischio più alto di morire anzitempo, rispetto a chi dà più spazio nella dieta ai carboidrati e alle proteine.
UN’EVIDENZA SENZA PRECEDENTI
La conferma dell’evidenza scientifica che medici e nutrizionisti condividono già da quattro decenni giunge da uno studio condotto dai ricercatori del dipartimento di salute pubblica dell’Università di Harvard e pubblicato sulle colonne della rivista «Jama Internal Medicine». Secondo gli autori, si tratta «dell’indagine più dettagliata condotta finora per valutare l’effetto che i diversi tipi di grassi hanno sulla salute».
Qualche dubbio in realtà ancora rimane, visto che l’attuale diatriba è dovuta principalmente all’assenza di studi comparativi circa l’effetto sulla salute del burro e dell’olio extravergine di oliva: per portare l’esempio più calzante. Oltre 126mila (83mila donne e 43mila uomini) le persone sane che hanno preso parte alla ricerca e sono state osservate per tre decenni, con controlli dietetici a cadenza biennale o quadriennale. Obiettivo: fare chiarezza sull’azione nociva dei grassi per l’uomo. Se diversi studi avevano finora mostrato un aumentato rischio di sviluppare malattie cardiovascolari da parte chi seguiva una dieta squilibrata, nessuno finora aveva correlato il consumo di grassi direttamente ai tassi di mortalità. È su questo punto che l’ultima ricerca ha fatto chiarezza.
Al crescere del due per cento del consumo di alimenti ricchi di grassi saturi e trans, principalmente di origine animale ma anche quelli realizzati con alcuni oli vegetali, è risultata aumentare del sedici per cento la probabilità di morire anzitempo.
CON MENO GRASSI SATURI SI RIDUCONO MOLTE CAUSE DI MORTE
A questo dato, i ricercatori statunitensi ne hanno aggiunto un altro, più interessante. I tassi di mortalità sono infatti risultati inferiori, di una quota compresa tra l’undici e il diciannove per cento, in quelle persone che nel corso dell’indagine avevano sostituito il consumo di pietanze o ingredienti ricchi di grassi saturi con altri in cui a prevalere era la quota di grassi mono e polinsaturi.
Via il burro, il lardo, i latticini e la carne rossa, dunque. Dentro l’olio extravergine di oliva, l’olio di soia, il pesce e la frutta secca. L’effetto protettivo è stato visibile anche a basse dosi, se sostituendo appena il cinque per cento della chilocalorie assunte giornalmente da alimenti ricchi di grassi saturi con altri impreziositi dai polinsaturi il rischio di morte prematura è risultato (nella media) più basso del ventisette per cento. Altra peculiarità della ricerca è quella di aver preso in considerazione molteplici cause di morte: dalle malattie cardiovascolari ai tumori, da quelle respiratorie alle neurodegenerative. Chiaro dunque il messaggio da portare a casa: chi segue una dieta povera di grassi saturi, vive mediamente più a lungo.
RICHIAMATO IN CAUSA L’OLIO DI PALMA
Lo studio rappresenta un’indagine epidemiologica, che non documenta dunque un effetto nocivo diretto da parte dei grassi saturi sull’organismo. Un altro limite è rappresentato dal non aver preso in esame persone malate. Detto questo, però, che l’eccesso di grassi saturi – da cui non dovrebbe provenire più del dieci per cento dell’introito energetico giornaliero – nella dieta rappresenti un’insidia per la salute è un’evidenza corroborata da decine di studi scientifici, nonostante negli ultimi mesi diversi siano stati i tentativi di riabilitazione.
Grande eco, poco più di un anno fa, ebbe una copertina di «Time», che caldeggiava il consumo del burro. A più riprese ci ha provato anche il «British Medical Journal» a riscrivere la scienza, in materia di grassi saturi: prima con una metanalisi pubblicata sul finire del 2015, poi con una rassegna risalente alle scorse settimane. Tutto inutile.
Ancora in corso, infine, è il dibattito sull’olio di palma, che vede le aziende alimentari schierate contro il fronte crescente di chi si oppone al largo impiego che si fa dell’ingrediente: anche per ragioni ambientali, oltre che salutistiche.
COSI’ I GRASSI SATURI DANNEGGIANO IL CUORE
Chi è aduso parlare dati alla mano, però, non è sorpreso dall’esito dell’ultima ricerca. «Non si possono mettere in discussione le differenze tra i grassi saturi e quelli polinsaturi – afferma Michele Gulizia, direttore della unità di cardiologia dell’azienda ospedaliera “Garibaldi-Nesima” di Catania e presidente dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (Anmco). – I primi, una volta degradati, aumentano i livelli di colesterolo Ldl e finiscono per ridurre il lume delle arterie, fino a ostruire l’afflusso di sangue. I secondi hanno un effetto lubrificante e aiutano a rimuovere anche i depositi di colesterolo cattivo».
Ecco spiegato perché troppi grassi saturi ci espongono a un più alto rischio di andare incontro a eventi cardio (infarto) e cerebrovascolari (ictus). Lo stesso principio potrebbe valere per le malattie neurodegenerative: prova ne è il continuo ribadire l’effetto protettivo garantito dalla dieta mediterranea. Si sa meno, invece, circa il possibile legame tra il consumo di grassi saturi e l’insorgenza di almeno quattordici diversi tumori.
In questo caso è l’obesità a fare la differenza, ragion per cui si raccomanda prudenza nei confronti di tutti i tipi di grassi.
FONTE LA STAMPA