Salute di genere: appello della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI) che rappresenta i 460mila infermieri d’Italia, di cui il 76,5% sono donne, con una prevalenza al Nord (oltre l’83%) e una percentuale più bassa al Sud (66,5%).
Appello agli infermieri, nel rispetto del loro Codice deontologico, alle Università per la formazione dei futuri infermieri, agli ordini provinciali per organizzare tutte le iniziative necessarie a farsi carico dei bisogni di assistenza e della salute di genere dei cittadini.
Su questo tema la Federazione ha organizzato a Napoli, nell’ambito del Laboratorio Sanità 20/30 del Forum Risk Management, l’evento a livello nazionale “Dalla medicina alla salute di genere nelle differenze – Le attenzioni della professione infermieristica”.
L’esigenza è valutare l’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso) e socioeconomiche (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona: uomini e donne presentano e che spesso differente incidenza, sintomatologia e anche risposta alle terapie e hanno diverse reazioni anche in base all’accesso alle cure con disuguaglianze rilevanti legate al genere. La professione di infermiere risponde ai bisogni personalizzati della persona e non alla patologia, personalizza le cure.
Su questi bisogni la FNOPI coinvolgerà anche istituzioni e Federazioni delle altre professioni – presenti a Napoli in una tavola rotonda sul tema – perché ci siano nell’”unicità di genere” solo prestazioni di qualità.
Attenzione però: non medicina, ma salute di genere, chiarisce la Federazione. “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia e di infermità” (OMS 1948), mentre la medicina è la scienza che studia le malattie, la loro cura e la loro prevenzione.
Una disciplina che aiuti a ridurre diseguaglianze, a concretizzare un principio di equità, un’integrazione trasversale di competenze diverse: personalizzare le cure trascende dal genere e cura la persona.
Anche il nuovo Codice deontologico degli infermieri è chiaro in questo senso: “L’Infermiere cura e si prende cura della persona assistita, nel rispetto della dignità, della libertà, dell’eguaglianza, delle sue scelte di vita e concezione di salute e benessere, senza alcuna distinzione sociale, di genere, di orientamento della sessualità, etnica, religiosa e culturale. Si astiene da ogni forma di discriminazione e colpevolizzazione nei confronti di tutti coloro che incontra nel suo operare”: l’infermiere dichiara in sostanza non “chi” assistere e curare, ma “di” assistere e curare.
Per quanto riguarda gli infermieri in particolare, l’alta percentuale di professionisti-donne hanno bisogno, a proposito di differenze di genere, per una reale crescita professionale di “abbattere la barriera culturale che le frena nel farsi avanti per ricoprire ruoli di dirigenza e di rappresentanza nelle professioni infermieristiche e realizzare quei progetti di conciliazione vita-lavoro, che spesso restano solo dei buoni propositi”, ha detto la presidente Barbara Mangiacavalli nel suo intervento inziale all’incontro.
“Negli ordini provinciali – prosegue – è una scalata maschile e sono poche le colleghe che si impegnano nella rappresentanza professionale (i presidenti-donne non raggiungono il 30%). I motivi sono tanti e vanno combattuti culturalmente, come l’errata convinzione che una donna non possa gestire una famiglia e fare carriera, o che se lavora devo essere lei a sacrificarsi chiedendo part-time o riduzione oraria”.
Altro motivo è la conciliazione vita-lavoro: “Spesso i progetti che potrebbero aiutare non vengono messi in pratica, soprattutto nelle amministrazioni pubbliche – ricorda la presidente – Il lavoro infermieristico è un lavoro su turni, h24, sette giorni su sette e poco si concilia con una gestione familiare senza un vero aiuto”.
Per questo accade che molte infermiere chiedano la riduzione di orario. “Se prima dovevano occuparsi dei figli piccoli – conclude la presidente FNOPI – ora, con l’invecchiamento della popolazione, devono occuparsi dei genitori anziani: facendo un lavoro di cura, se c’è un bisogno in famiglia finisce che intervenga l’infermiera presente all’interno della famiglia”.
In questo modo si aumenta anche la carenza di professionisti, già più che critica (ne mancano quasi 100mila), e si rischia di alimentare le “cure mancate” che indipendentemente dal motivo e dalla qualità, hanno un risvolto negativo anche quando il genere (secondo le definizioni più ampie) determina fragilità (gender, status sociale e psicologico, età, cultura…) quando cioè una “differenza” viene vista e vissuta come diversità e non come unicità.
Gli infermieri sanno come affrontare il problema: la personalizzazione delle cure trascende dal genere perché cura la persona. Per questo il percorso è chiaro: rispetto e non discriminazione; non abbandono; rispetto della concezione di vita, salute e benessere, recita ancora il loro Codice deontologico. Ed è l’impegno emerso dal confronto di Napoli.