La violenza sulle donne è un tema ampio, complesso, viscerale, intimo.
Spesso vediamo foto di donne con gli occhi lividi perché effettivamente fa più “effetto” di una donna di qualsiasi età che si sente dire “stai zitta”.
Quella frase non ti lascia segni visibili, ti fa male dentro e, spesso, la giustifichi pure ma è l’inizio o, se sei fortunata, rimane comunque una mancanza di rispetto detta una volta, per poi trasformarsi nell’inizio di una violenza verbale quando quel “stai zitta” ricorre sempre e va in crescendo.
La violenza sulle donne ha mille sfaccettature.
Chi ti offende.
Chi ti umilia.
Chi ti picchia.
Chi non ti consente una libertà economica.
Chi ti minaccia.
Chi usa i figli come “arma di ricatto”.
Chi fa male anche ai figli per colpire te, donna e madre.
La violenza sulle donne non è solo quando si incorre in una o più di queste situazioni, ma è anche non denunciare, non chiedere aiuto, giustificare.
Ho sentito molti aneddoti di chi lavora sul campo e quando si invita la vittima a denunciare ci si sente rispondere “no ma non voglio rovinargli la vita” oppure “no ma ora se n’è andato non sto a venire a fare denuncia”.
Anche quella è una mancanza di rispetto, verso voi stesse, verso chi potrebbe iniziare a far qualcosa ma senza denuncia sa di non potervi tendere una mano.
Qualche tempo fa mi sono trovata in una situazione “critica” con una amica che era in difficoltà.
L’abbiamo aiutata, lei ha denunciato e io sono molto orgogliosa di lei.
Peró la cosa che più mi ha lasciata con l’amaro in bocca è stata la legislazione italiana.
Solo la vittima può sporgere denuncia.
Se io sono a conoscenza di un reato devo darne comunicazione ma se so che una donna viene picchiata ho le mani legate, deve partire tutto da lei.
Chi ci si trova sa di cosa parlo.
Sa del senso di impotenza, della rabbia, del fatto che ti viene il nervoso perché ti senti “inutile”.
Non so se la legge verrà mai cambiata.
Ma forse dovrebbe partire tutto da molto prima.
Bisognerebbe partire dall’educazione, dall’educare i figli maschi a rispettare le donne, le figlie a farsi rispettare.
Tutto giusto.
Sulla carta.
Come fai a insegnare tutto ciò se spesso la violenza fra le mura domestiche rimane avvolta nell’omertà?
Come fai a insegnare ai figli che vedono la madre picchiata che quella non è la “normalità” se ci sono cresciuti da sempre in quel contesto? Come fai se non è la donna la prima a fermare la violenza?
Leggo molti post che sponsorizzano la chiamata al numero 1522 per chiedere aiuto e vi prego fatelo.
Ma vorrei dirvi un’altra cosa: quando venite al pronto soccorso con un occhio livido, le coste rotte, il naso spaccato, il braccio rotto, i lividi nella schiena, etc etc, smettetela di dare la colpa all’essere maldestre, ai mobili, a una caduta.
Siamo lì, siamo donne e uomini che si prendono cura degli altri perché è il nostro lavoro, non abbiate mai e poi mai paura di dirci la verità su chi vi ha fatto male, non abbiate mai timore di dirci che avete paura perché qualcuno è violento con voi.
Siamo lì, non ci costa niente prendervi per mano.
Abbiate fiducia in noi, che lo capiamo che quell’occhio nero o il naso rotto non ve lo ha fatto l’anta del mobiletto.
Ma per favore denunciate.
Educate i vostri figli ma prima di tutto ricordatelo a voi stesse che amore non significa possedere, che uno schiaffo non è amore, che non siete agnelli sacrificali e non dovete sopportare nulla che sia violenza.
Laura Berti, infermiera presso l’ospedale Maggiore