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“Consapevolezza e condivisione” per superare il disturbo da accumulo

“Consapevolezza e condivisione” per superare il disturbo da accumulo

“Consapevolezza e condivisione” per superare il disturbo da accumulo
| mercoledì 20 Febbraio 2019

Oggetti inutili che “mangiano” lo spazio vitale, accumulati per incapacità di sbarazzarsene. Le cause? Ansia, depressione, eventi traumatici. Elena Codogno, educatrice professionale: “Prendere coscienza della condizione è il primo passo per guarire. Poi si può alleviare il peso condividendo nei gruppi di auto-mutuo aiuto”

Hoarder House overflown with stuffBOLOGNA – Disorganizzazione nell’ambiente casalingo, difficoltà nell’organizzare gli spazi, tendenza a non liberarsi degli oggetti inutili, ad accumularne senza che abbiano un vero utilizzo. Abbigliamento, scarpe, senza gettare nulla, perché in futuro, chissà, potrebbero rivelarsi utili. È uno dei livelli del disturbo da accumulo, disturbo a cui è stato dedicato l’incontro “Come l’organizzazione genera benessere. Ovvero alleggerisci la tua casa per vivere felice”, primo di una serie di eventi organizzati da Apoi, l’Associazione Professional Organizers Italia, e Comune con l’obiettivo di attuare azioni di sensibilizzazione e prevenzione riguardo alla disposofobia. Come detto, ci sono vari stadi: nelle situazioni più gravi la casa viene poco a poco riempita e lo spazio della persona viene “mangiato”. Comincia così a isolarsi: più la casa offre meno spazio, più ci sono difficoltà nell’invitare gli altri e scompare l’aspetto della socializzazione.

“C’è anche un aspetto di vergogna rispetto al mostrare il proprio spazio, questo se c’è consapevolezza – spiega Elena Codogno, educatrice professionale, operatrice del Centro per le famiglie di Asp, referente del tavolo Ama – Gruppi di auto mutuo aiuto della Città Metropolitana, tra i relatori dell’incontro –. Una condizione simile porta con sé anche una maggiore difficoltà a gestire i rapporti con i familiari, che faticano a comprendere le motivazioni dietro agli atteggiamenti del parente. Tutto ciò, naturalmente può leggersi come una metafora: come hanno spiegato le esperte di Apoi, la casa è una fotografia di ciò che siamo noi. Riempire con oggetti non realmente utili e lasciare poco spazio a sé, è evidentemente significativo di un disagio profondo”.

Marco Menchetti, psichiatra, intervenendo al convegno ha parlato di ansia, depressione, traumi, eventi drammatici alla base di questi comportamenti. Le conseguenze? “Potenzialmente gravi: il rischio è un disfacimento fisico e psico-emotivo”, ha spiegato.

La scorsa primavera, Comune e Asl hanno siglato un accordo per mettere in campo una serie di potenziali attività per cercare di aiutare le persone con questo disturbo: tra queste, i gruppi auto-mutuo aiuto. Come spiega Codogno, i gruppi di auto-mutuo aiuto sono formati da persone – da pari, per l’esattezza – che condividono un problema: “Un momento particolare del proprio percorso di crescita, uno snodo complesso. Una problematica relazionale, un deterioramento cognitivo, una dipendenza, un disagio psichico”. All’interno di questi gruppi non è prevista la presenza di un esperto: “Questo non significa siano lasciati a sé. È prevista la figura del facilitatore, opportunamente formato, in grado di dirigere la comunicazione e favorire uno spazio funzionale affinché tutti possano esprimersi. La propria esperienza è il tassello fondamentale alla base dei gruppi di auto-mutuo aiuto: chi c’è di più esperto di una persona che vive il problema?”. Alzare la mano, cominciare a raccontarsi andando oltre la vergogna, è fondamentale: “Condividere permette di alleviare il peso che si porta, di alleggerire la fatica di un particolare momento che si sta vivendo. Come dicono le mie colleghe, è come avere un masso sulla schiena. Parlando, questo masso si frantuma in sassi più piccoli, consentendo a ciascuno di portarne uno. I gruppi di auto-mutuo aiuto fanno sì che quel peso sia vissuto in maniera diversa”.

Sono oltre 120 i gruppi di auto-mutuo aiuto attivi nel distretto bolognese: gruppi di genitori con figli adolescenti, gruppi per affrontare separazioni, dipendenze da sostanze, gioco, cibo, affettive. Gruppi per sostenere solitudini, violenze, maltrattamenti, difficoltà relazionali. Gruppi per alleviare il peso di familiari di persone con un disagio psichico, con un deterioramento cognitivo. “Un gruppo, per nascere, ha bisogno solo di una cosa: di una presa di consapevolezza del proprio problema”. (Ambra Notari per Redattore Sociale)

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