Durante i primi controlli dal pediatra, nelle prime settimane di vita del bambino, può capitare di sentirsi chiedere se il piccolo sorride. I neonati spesso sorridono beati, ma lo fanno involontariamente o no?
Secondo gli studi a disposizione, già durante la gestazione e in particolare nelle ultime settimane prima di nascere, i piccoli sono dotati di un’intensa mimica facciale ovvero provano a corrugare la fronte, a fare smorfie, a piangere e a sorridere. Quest’attività dovrebbe rappresentare una sorta di riflesso dello stato di benessere di cui godono nel pancione. Se la futura mamma è molto stressata o troppo tesa per il parto, per esempio, e quindi produce tanto cortisolo, l’ormone dello stress appunto, il bambino risulta essere più agitato, si muove molto e con la mimica tende a riprodurre il pianto.
Se la mamma è serena, invece, già a livello fetale il piccolo sorride. A tal proposito Andrea Campana, Responsabile UOC Pediatria Multispecialistica Dipartimento Pediatrico Universitario Ospedaliero dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma racconta: «Dopo tanti anni che faccio questo lavoro, quando guardo un neonato negli occhi e inizia a sorridermi ancora non capisco se sono stato io a far ridere lui o è stato lui a donarmi quell’espressione buffa, tra l’innamorato e il divertito che mi trovo puntualmente dipinta sul volto».
Una manifestazione involontaria
Alla nascita ogni neonato tende ad abbozzare spesso sorrisetti: lo fa in maniera del tutto involontaria, ma anche in questo caso si tratta del suo modo di esprimere compiacimento per una sensazione di benessere. Per aumentare e rafforzare tale sensazione di ogni nuovo nato è fondamentale che si instauri un intenso legame fra la mamma e il papà e il piccolo. Questa stretta connessione prende il nome di bonding. Ecco perché subito dopo la nascita si cerca di favorire in ogni modo il contatto pelle-pelle mamma e bambino e si incentivano le stesse a guardare intensamente negli occhi i piccoli proprio per iniziare a saldare quell’intenso legame che solo una mamma riesce a instaurare con il piccolo.
Si tratta di sintonizzarsi con il proprio figlio e a farlo non sono solo le mamme, ma anche i papà o comunque ogni persona che riesce ad empatizzare profondamente con il bebè. Spiega il dottor Campana: «A seconda del mio stato d’animo, prima ancora di avvicinarmi a un neonato e toccarlo, prima ancora di guardarlo negli occhi, già so se piangerà o se si lascerà visitare tranquillo sorridendo».
Coccolare un bambino non significa viziarlo
Per entrare in empatia con il proprio piccolo è necessario cullarlo, tenerlo in braccio, imparare a conoscerlo. Spesso nella nostra cultura tutte queste attenzioni e questo calore umano, viene scambiato con un atteggiamento volto a viziare il piccolo già nelle prime settimane della sua esistenza. In realtà tutto quello che si riesce a fare per aumentare il bonding a qualunque età e ancor di più nel periodo neonatale, non vizia il piccolo, ma mira ad aumentare la sua sensazione di benessere e quindi anche i suoi sorrisi.
I neonati sono anche grandi imitatori: se la mamma sorride spesso, lo faranno anche loro. Il sorriso come manifestazione di divertimento e come stimolo di risposta arriva in genere fra 1 e 3 mesi, ma resta la consapevolezza che un sorriso di un neonato è il suo modo di esprimere la sensazione di benessere in risposta agli stimoli che lo contornano.
Da dove nasca il sorriso di un neonato – precisa campana – è, per molti versi ancora un mistero, ma è chiara la capacità del bambino, già da molto piccolo, di intuire lo stato d’animo di chi lo prende in braccio e di reagire di conseguenza. Ti scruta, aggancia il tuo sguardo e se nasce la magia, ti regala un sorriso. Che si tratti di una reazione inconsapevole o di un tentativo volontario di interazione finalizzata al soddisfacimento di un proprio bisogno, si tratta comunque di una grande conquista».
Fonte La Stampa