Il lutto fa parte della vita di ogni essere umano, quindi non ha senso patologizzarlo né cercare di risolverlo in tempi brevi: è un processo fisiologico che va lasciato scorrere, e vissuto per intero. Le complicanze avvengono tuttavia quando, superati i tempi fisiologici che ci consentono di «lasciare andare» una persona -che vengono un po’ grottescamente stimati in 12 mesi-, permane un senso di malessere e abbandono che non riesce a essere risolto, come se non si riuscisse a rinunciare alla perdita.
IL SAGGIO DI FREUD SUL LUTTO
Il saggio breve Lutto e Melanconia di Sigmund Freud rappresenta un eccezionale documento ed esempio di lucidità descrittiva intorno al tema del lutto, oltre essere una testimonianza unica del talento narrativo di Sigmund Freud. Qui il lutto è descritto come «la reazione alla perdita di una persona amata o di un’astrazione che ne ha preso il posto, la patria ad esempio, o la libertà, o un ideale o così via», che ha come conseguenze «un doloroso stato d’animo, la perdita d’interesse per il mondo esterno – fintantoché esso non richiama alla memoria colui che non c’è più- , la perdita della capacità di scegliere un qualsiasi nuovo oggetto d’amore (che significherebbe rimpiazzare il caro defunto), l’avversione per ogni attività che non si ponga in rapporto con la sua memoria».
Freud spiega inoltre come per compiere il lavoro del lutto debba essere effettuato uno spostamento di investimento libidico su un altro oggetto che non sia l’oggetto perso, una sorta di ricollocazione affettiva.
Strutturalmente, tuttavia, l’uomo pare essere portato a mantenere per più tempo possibile l’adesione libidica verso l’oggetto («gli uomini non abbandonano volentieri una posizione libidica»), e quindi il lavoro del lutto richiede tempo e richiede dei passaggi obbligati (per esempio, Freud sottolinea, il sovra-investimento di tutti i ricordi e le aspettative connesse all’oggetto perduto, che devono essere uno per uno abbandonati).
Solo allora, Freud scrive, «l’Io ridiventa in effetti libero e disinibito».
Come si nota, Freud preparò il terreno alle successive riflessioni sul tema della perdita e del lutto, che volevano comprendere il momento del lutto nel suo divenire, nelle sue dinamiche intrinseche.
LE FASI DEL LUTTO SECONDO GLI STUDIOSI
Sono stati fatti nel tempo dei tentativi di capire le fasi del lutto: la più celebre formulazione in questo senso è quella delle 5 fasi successive che lo costituirebbero, dal lavoro classico di Kubler Ross del 1970 (negazione/incredulità, rabbia, patteggiamento, depressione, accettazione).
Questa formulazione, seppur accademica e molto poco poetica, e se vogliamo poco umana, è tuttavia molto aderente al vissuto di chi sperimenti e stia vivendo una perdita: è da notare che un lutto avviene ogni qualvolta perdiamo qualcosa o qualcuno verso cui ci fu un investimento affettivo iniziale: le fasi rimangono sempre quelle, anche in scala ridotta, qualunque sia l’oggetto che ci viene strappato.
John Bowlby, autore maggiore della storia della psicologia e grande conoscitore della psicologia umana soprattutto in senso relazionale e relativamente al tema dell’attaccamento, propose altre fasi, anch’esse vissute in sequenza obbligata: protesta, nostalgia, disperazione, riorganizzazione.
Il DSMV, il manuale più autorevole in senso nosografico nella psichiatria odierna, per la prima volta aggiunge la voce relativa al lutto complicato «persistente» oltre i tempi fisiologici di elaborazione di una perdita, osservando come in questi casi i sintomi più «acuti» del lutto si protraggano per troppo tempo, e che portino con sé anche sentimenti di identificazione con la persona perduta da parte di chi ne soffre, quasi a voler «seguirne le tracce».
In questi casi bisognerebbe prendere in considerazione l’idea di richiedere un aiuto per far sì che il problema non diventi un problema cronico, foriero di ulteriori complicazioni depressive o post-traumatiche (in particolare se la perdita è avvenuta in modo brutale per l’individuo), invalidante per la vita e la libertà di movimento della persona, non in grado di tornare a quella «libertà e disinibizione» di freudiana memoria.
Per tutti gli altri casi, non esistono strade brevi, né farmaci da assumere, solo il rispetto delle proprie tempistiche soggettive.
Fonte La Stampa