Chi non è di Bologna spesso non capisce la ferita che portiamo nel cuore ogni anno, il 2 agosto.
Il 2 agosto a Bologna è uno squarcio mai chiuso.
È una stazione distrutta da una bomba.
È il corpicino di una bambina di nemmeno 3 anni.
È cemento sgretolato.
Acciaio divelto.
Un treno dilaniato.
È il rumore delle cicale.
Il fruscio dei ventagli di persone in attesa del treno che doveva portarle via per le vacanze.
È un bacio non dato, un abbraccio rubato.
Il 2 agosto è ingiustizia per una verità che non viene mai a galla.
È il dolore di chi rimane e non può arrabbiarsi con nessuno per aver perso un figlio, un marito o una moglie, un nipote, un amico solo perché chi ha fatto scoppiare una bomba non ha ancora un nome dopo 38 anni.
Il 2 agosto a Bologna è un muro rotto, una lastra di marmo con nomi e gli anni di coloro che sono morti, uno squarcio nel pavimento; se capitate in stazione andateli a vedere.
Il 2 agosto è un autobus rosso e giallo, con il numero 37, con i corpi coperti dai lenzuoli bianchi.
È un carabiniere, un poliziotto, un militare, un passante, un pompiere, un vigile, un operaio, un barista, una casalinga che scava fra quelle macerie.
È una città che accorre e soccorre.
È il lavoro di medici, infermieri, personale delle ambulanze, poliziotti, pompieri, militari.
È la spinta che fece nascere il 118.
È la frenesia nei pronto soccorso degli ospedali che si videro arrivare le vittime ferite dall’esplosione.
È l’odore del sangue.
L’odore della pelle ustionata.
È un colpo al cuore.
Il 2 agosto a Bologna è qualcosa di indimenticabile.
Il 2 agosto è una lacrima, calda, che scivola lentamente sullo zigomo proseguendo sulla guancia.
Il 2 agosto è una città che da lezione di altruismo.
Il 2 agosto è la mia Bologna che piange da 38 anni.
E ogni volta ripenso a chi, come me, è qua a parlarne perché quel giorno uno dei genitori non ha sentito la sveglia e non è andato a prendere il treno, ha avuto un inghippo e non è passato dalla stazione.
Laura Berti