COPENAGHEN – 425 milioni di malati in tutto il mondo. Ma solo il 50% di questi è diagnosticato e solo il 25 di questi ultimi è in grado di gestire consapevolmente e con efficacia la propria terapia: questo è il diabete. Una malattia cronica che per molti aspetti è paradigma della nostra contemporaneità, legata – nel suo aspetto di tipo 2 – a stili di vita non salutari ed a una gestione scorretta della propria alimentazione. Considerata un tempo patologia cronica “da paesi ricchi”, negli ultimi decenni il diabete ha purtroppo assunto la fisionomia di “pandemia mondiale”, con percentuali di incidenza che nelle aree a forte urbanizzazione dei paesi in via di sviluppo – dall’Africa all’America Latina – raggiungono picchi preoccupanti.
Come si combatte la battaglia contro questo killer, responsabile di 4milioni di morti all’anno? Con un patto tra i soggetti coinvolti dove tutti siano in grado di agire collaborativamente, ricercatori, scienziati, clinici, centri di cura, istituzioni, pazienti e aziende. Così mentre proprio in questi giorni si tiene a Rimini il 27esimo Congresso della Società Italiana di Diabetologia, uno dei massimi simposi clinici nazionali dedicati a questa patologia cronica, siamo andati a Copenaghen a incontrare Susan Stormer vice presidente di Novo Nordisk, azienda farmaceutica che rappresenta da circa novant’anni la più grande azienda mondiale di ricerca, sviluppo e produzione di terapie per combattere il diabete.
“La lotta al diabete è ormai un paradigma nella lotta alle malattie croniche”, dice Susan Stromer, esperta di responsabilità sociale con un forte curriculum accademico, “Ma quello che secondo noi può fare la differenza è l’affermarsi di una cultura che parta da molto prima della diagnosi, che si muova cioè dalla coscienza che il paziente è prima di tutto una persona e che il sistema intero lavora per questa persona e non per la malattia. Credo che per la nostra azienda questo sia l’autentico valore distintivo su cui basiamo la nostra visione della ricerca e dello sviluppo”. Ecco, dunque, il famoso valore “paziente al centro”.
Questo è un refrain che tutti usano oggi, in tempi in cui l’attenzione alla voce dei cittadini è particolarmente importante. Nel caso di una multinazionale che fa profitti ed è quotata in borsa, come si traduce questa logica?
“Noi prendiamo decisamente sul serio il concetto di avere il paziente al centro”, ribatte la Stromer, “Per noi ogni paziente è una persona: questo vale oggi come all’inizio della nostra storia aziendale. Voglio ricordare che Novo venne fondata – era il 1921 – dal premio Nobel per la medicina August Krog proprio rispondendo a questo approccio: lui era sposato con Marie che appunto era una paziente diabetica e l’azienda nacque per portare a lei le prime cure a base di insulina. Per noi il paziente non è una malattia, è una persona. Per questo continuiamo a creare le condizioni per ascoltare le persone con diabete, cerchiamo di cogliere la loro prospettiva, la loro richiesta di una migliore qualità della vita e su queste costruiamo le nostre risposte terapeutiche”.
Ma il diabete avanza ovunque: la prospettiva inquietante è che per il 2045 i malati possano arrivare alla cifra mostruosa di 736 milioni, con una spesa globale per fronteggiare l’emergenza di oltre 800miliardi di dollari. Se questo è il preoccupante futuro, pare proprio che istituzioni, agenzie, aziende e servizi sanitari si debbano attrezzare per un cambiamento di prospettiva, per offrire maggiori e migliori risposte e per intervenire in termini di prevenzione. Dal punto di vista strettamente terapeutico il diabete si controlla con le insuline (ormai differenziate, ad azione prolungata oppure ad azione veloce), con la metformina, con le incretine (GLP1) e con le gliptine (gli inibitori di DPP4), e con device sempre più sofisticati e user frendly. Ma il cambiamento richiede nuovi paradigmi.
“Noi cerchiamo di guidare il cambiamento”, commenta la vice-presidente dell’azienda danese, “Da un lato cerchiamo di combattere il diabete, di averne un buon controllo e di poterlo gestire, permettendo con i nostri prodotti una qualità della vita sempre migliore. Dall’altro vogliamo avviare qualcosa di più radicale, qualcosa che partendo dalla prevenzione incida in modo sostanziale sul numero di persone ammalate. Per questo abbiamo dato vita al progetto Cities Changing Diabetes per combattere il diabete urbano”. Ecco un termine nuovo, “diabete urbano”, una neo-definizione che fotografa una specificità metropolitana legata alla patologia di tipo 2. Il termine “urban diabetes” è stato coniato dal programma Cities Changing Diabetes, avviato internazionalmente nel 2014 da David Napier, accademico dell’ University College London, e dallo Steno Diabetes Center (Danimarca), con il coinvolgimento – appunto – di Novo Nordisk.
Al progetto hanno già aderito alcune capitali ed altrettante megalopoli: Copenhagen, Città del Messico, Houston, Shangai, Vancouver, Johannesburg, Tjianin, oltre che Roma, prima città europea del network. Si pensi che, solo concentrandoci sul nostro Paese, un diabetico su tre vive in una delle 14 città metropolitane italiane, da Napoli a Milano. A Roma, solo per riferirci alla capitale, è diabetico il 6,5% della popolazione, contro il 5,4% della media nazionale.
“La logica di questo progetto – conclude Susan Stomer – è realizzare un approccio etico al territorio, allo sviluppo dell’ambiente, alla gestione del traffico e delle emissioni, al governo dei trasporti, all’aumento di aree verdi e di attività sportive. Per noi quello che conta è connettere la lotta al diabete alle organizzazioni urbane, ai programmi del territorio: riscoprire la città riattivando i valori che possono prevenire l’insorgere della malattia”. In pratica le istituzioni locali, le agenzie di sanità, i soggetti dello sport, le associazioni attive nell’ambito della promozione della salute, e tutti i soggetti sensibili ai determinanti di salute, contribuiscono alla diffusione di messaggi ed attività di prevenzione: è la cultura che fa la differenza. Più conoscenza oggi, meno diabete domani.
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