Il tumore dell’ovaio è uno dei nemici più insidiosi per la salute delle donne. Ma nell’approccio farmacologico nei suoi confronti, ci si appresta a vivere una fase di ritrovata speranza. Merito dei risultati che si stanno ottendendo dai Parp-inibitori, una categoria di farmaci che potrebbe far registrare un nuovo corso nella terapia medica di molti tumori: a partire da quelli dell’ovaio, il più aggressivo tra quelli che possono colpire l’apparato genitale femminile. I nuovi farmaci, già impiegati da circa un anno ma vincolati all’esito di nuove sperimentazioni, agiscono annullando dalle cellule neoplastiche i meccanismi di riparazione del Dna: favorendo di conseguenza la morte cellulare.
CON OLAPARIB MALATTIA ASSENTE PER QUASI DUE ANNI
L’efficacia dei Parp-inibitori – nello specifico di olaparib, un farmaco prodotto da AstraZeneca – è stata confermata da uno studio di fase 3 pubblicato sulla rivista «The Lancet Oncology», durante il quale l’efficacia della risposta al farmaco è stata misurata in un gruppo di donne in cui la malattia aveva già recidivato, con mutazioni di uno o entrambi i geni Brca e che avevano concluso da almeno sei mesi un trattamento chemioterapico a base di platino.
L’olaparib, assunto per via orale per due volte al giorno, ha fatto registrare una sensibile differenza in termini di sopravvivenza: diciannove mesi senza malattia rispetto ai cinque, nel confronto tra le pazienti trattate col Parp-inibitore e le donne inserite nel gruppo di controllo. Ma ancora più importante è la percentuale di pazienti che, dopo aver assunto olaparib, hanno presentato benefici a lungo termine: pari al quindici per cento, anche fino a cinque anni.
La terapia di mantenimento, dunque non effettuata come prima linea ma sempre a seguito di una recidiva comparsa nonostante la chemioterapia, ha fatto registrare «risultati straordinari, che possono segnare una svolta per le pazienti», commenta Sandro Pignata, direttore della struttura complessa di oncologia medica uro-ginecologica dell’Istituto Nazionale Tumori Pascale di Napoli, tra gli autori dello studio.
LE DOMANDE ANCORA SENZA RISPOSTA
Il farmaco s’è rivelato efficace soltanto in una particolare categoria di pazienti: quelle affette da una mutazione a carico di un gene Brca, che si riscontrano in un quinto delle nuove diagnosi. Dal momento che queste alterazioni del Dna non sono presenti nelle cellule sane, l’azione dei Parp-inibitori nei tumori epiteliali dell’ovaio è molto più selettiva rispetto a quella dei chemioterapici.
Lo studio ha evidenziato anche gli effetti collaterali di olaparib: anemia, neutropenia, astenia, dolore addominale e ostruzione intestinale. Conseguenze da non trascurare, soprattutto se si considera che «nello studio abbiamo somministrato il farmaco quotidianamente, fino all’eventuale comparsa di una nuova recidiva», afferma lo specialista, lasciando intendere che per la terapia di mantenimento c’è il rischio di non poter considerare una fine. «Ma si tratta comunque di conseguenze più tollerabili rispetto a quelle indotte dalla chemioterapia».
QUANDO SERVE SOTTOPORSI AL TEST GENETICO?
Rimane da capire se in futuro questi farmaci potranno trovare spazio nel trattamento anche di quei carcinomi che non presentano mutazioni dei geni Brca ed eventualmente in prima linea: al posto della chemioterapia. Chiosa Pignata: «È necessario che tutte le pazienti vengano sottoposte al test per la ricerca delle mutazioni di Brca: sia per capire chi potrebbe beneficiare del trattamento con olaparib, ma pure per studiare le famiglie nelle quali queste mutazioni sono trasmesse per via ereditaria e individuare di conseguenza le persone che vivono con un rischio aumentato di ammalarsi».
Fonte La Stampa