Belli. Indolori. E, soprattutto, «a tempo determinato». Durante l’estate, i tatuaggi all’henné sono una tentazione soprattutto per bambini e adolescenti. La pratica ha origini antichissime nei Paesi orientali e nell’Africa settentrionale, ma a rivelarne i rischi per la pelle dei più piccoli è uno studio pubblicato sulla rivista «International Journal of Environmental Research and Public Health». A realizzarlo tre specialisti della clinica pediatrica dell’università di Perugia: Susanna Esposito, Elisa Panfili e Giuseppe Di Cara.
I TATUAGGI ALL’HENNE’ NON SONO INNOCUI
«L’uso di tatuaggi temporanei all’henné è ormai una moda molto diffusa nel nostro Paese, soprattutto in estate – evidenzia Susanna Esposito, ordinario di pediatria dell’ateneo umbro e presidente dell’Associazione Mondiale per le Malattie Infettive e i Disordini Immunologici (WAidid) -. I tatuaggi sembrano innocui, ma non lo sono. Da evidenze scientifiche emerge infatti che la sostanza chiamata para-fenilendiammina, che spesso viene aggiunta all’henné naturale per ottenere un colore più scuro e duraturo, per le sue caratteristiche molecolari può indurre sensibilizzazione cutanea con varie manifestazioni cliniche nel momento in cui ci si riespone al sole. La più frequente è la dermatite allergica da contatto. Nelle persone allergiche al composto, in particolare, il tatuaggio temporaneo può scatenare reazioni violente con gonfiore e rossore, mentre in chi ha una pelle molto sensibile e delicata può dare origine a una dermatite irritativa più lieve, ma altrettanto fastidiosa».
DOPO UN ANNO LA PELLE RISULTA MENO PIGMENTATA
Secondo i risultati emersi dalla ricerca, nel cinquanta per cento dei casi presi in esame, i tatuaggi all’henné hanno provocato manifestazioni cutanee: prurito, eritemi, vescicole e bolle, orticarie. Oppure reazioni sistemiche: come linfoadenopatie e febbre entro uno o due giorni dalla prima applicazione.
Nella restante metà dei casi, invece, i sintomi sono comparsi soltanto dopo un ritocco effettuato fino a 72 ore dall’effettuazione del tatuaggio: mostrando quindi una sensibilizzazione cutanea alla parafenilendiammina presente nell’henné. La necessità di terapie di lunga durata è un altro fattore che emerge dallo studio: nella maggior parte dei casi, la persistenza delle lesioni è stata riscontrata anche a sette giorni dall’inizio della terapia con cortisone e antistaminici e una persistente alterazione del colore cutanea è stata osservata anche dopo quattro settimane dalla fine della terapia. Se certamente si arriva alla risoluzione del prurito e a un miglioramento delle lesioni cutanee, in tutti i casi, secondo i dati emersi, a un anno di distanza è riscontrabile una ridotta pigmentazione cutanea sulla zona dedicata al tatuaggio.
L’INSIDIA E’ RAPPRESENTATA DALLA PARAFENILENDIAMMINA
La parafenilendiammina è uno dei più potenti allergeni da contatto. Si tratta di un colorante blu scuro attualmente vietato, secondo la legislazione europea, per uso cosmetico ad eccezione delle tinture per capelli per le quali è consentita a basse concentrazioni: fino al sei per cento. Oltre a questa restrizione, è previsto che siano sempre indicate sull’etichetta delle avvertenze, come «Può causare una reazione allergica», «contiene fenilendiammina», «per uso professionale», «non usare per tingere ciglia e sopracciglia».
Aggiunge Esposito: «La sensibilizzazione alla parafenilendiammina è un fenomeno in crescita nei bambini e negli adolescenti. La causa più comune sembra essere proprio l’esposizione ai tatuaggi con henné in cui la sostanza può essere presente in concentrazioni sconosciute o alte. Dopo la sensibilizzazione, i pazienti possono sperimentare gravi sintomi clinici quando vengono riesposti a sostanze che contengono o reagiscono con la parafenilendiammina, e possono presentare un’ipopigmentazione persistente.
Dato l’uso diffuso di questa sostanza, meglio essere cauti considerando che sono molti i giovani che acquistano kit venduti on line, privi di qualsiasi garanzia, oppure si affidano a tatuatori improvvisati sulle spiagge che usano materiali scadenti e potenzialmente rischiosi».
Fonte La Stampa