ROMA – Immagini in bianco e nero, attori dai movimenti goffi e accelerati, qualche didascalia per le scene cruciali, nessun sonoro. A guardarle oggi, le prime pellicole cinematografiche fanno sorridere, ma tra quelle prime bobine nasceva un nuovo linguaggio in grado di parlare a tutti. A più di un secolo dalla sua nascita il cinema ha fatto notevoli passi avanti, dal 3D alla realtà virtuale, ma l’obiettivo di diventare realmente accessibile a chiunque è ancora da raggiungere, soprattutto in Italia. Per una persona con disabilità, andare al cinema con gli amici non è un’impresa semplice. Audiodescrizioni e sottotitoli non sono sempre disponibili e nelle case cinematografiche nessuno pensa ancora a produzioni accessibili sin dall’inizio. Qualcosa, però, potrebbe cambiare a breve. Il Parlamento italiano, infatti, ha da poco approvato un disegno di legge delega di riordino del cinema e dell’audiovisivo, che introduce alcune novità in merito. In due commi la roadmap per i prossimi anni: il primo chiede di promuovere la fruizione del cinema e dell’audiovisivo, tenendo conto delle “specifiche esigenze delle persone con disabilità, secondo i principi stabiliti dalle convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia in materia”. Il secondo chiede che il riconoscimento di incentivi e contributi sia “subordinato” anche alle “specifiche esigenze delle persone con disabilità, con particolare riferimento all’uso di sottotitoli e audiodescrizione”. Al cinema accessibile è dedicato un focus pubblicato nel numero di dicembre del magazine SuperAbile Inail.
Su questo tema è la prima volta che la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità viene tirata in ballo, e non è poco. Il testo, infatti, riconosce il diritto “a prendere parte su base di eguaglianza con gli altri alla vita culturale e invita a prendere tutte le misure appropriate per assicurare che le persone con disabilità godano dell’accesso a programmi televisivi, film, teatro e altre attività culturali, in forme accessibili”. Ma c’è di più. La Convenzione, ratificata dall’Italia nel 2009, riguarda tutte le disabilità. “È una svolta storica – spiega Stefano Tortini, vicepresidente nazionale dell’Unione italiana ciechi e ipovedenti –. La legge chiede di commisurare i finanziamenti a quanto il produttore si adopera per rendere il prodotto accessibile. Un vincolo ancor più efficace dell’obbligo”. L ’intento della legge, quindi, è quello di incentivare una produzione cinematografica che preveda già in fase di progettazione la resa accessibile. Un passo che potrebbe portare la piena fruibilità in qualsiasi cinema d’Italia. “Una volta ottenuto il prodotto accessibile – continua Tortini –, per le sale sarà piuttosto semplice la messa in opera”. Tuttavia, per capire quali saranno le norme nel dettaglio, bisognerà attendere i decreti attuativi, ma Tortini assicura: “Dal governo c’è la garanzia che si lavorerà per rafforzare i principi espressi”.
Ma cosa significa rendere accessibile un film? Non è solo una questione di barriere architettoniche nelle sale. La resa accessibile riguarda soprattutto la sottotitolazione per i sordi e l’audiodescrizione per i ciechi. “La prima non è da confondere con i sottotitoli presenti in diverse lingue – racconta Daniela Trunfio, del progetto “Torino + Cultura accessibile” della Fondazione Carlo Molo, da anni impegnata per la resa accessibile degli audiovisivi –. Quella per i sordi è facilitata, più leggibile e non va oltre le due righe per schermata. Deve contenere la descrizione del sonoro, avere un colore diverso per ogni personaggio e scorrere su una banda nera che non sia all’interno della pellicola”. L’audiodescrizione, invece, “si inserisce nei momenti muti del film – continua – e deve avere una capacità descrittiva tale da permettere a chi non vede di capire dove si trova”. I costi non sono eccessivi, se paragonati a quelli di realizzazione di un film. Si parla di non più di 2.500 euro a pellicola e con il digitale si potrebbe inserire tutto in un unico pacchetto da distribuire in tutte le sale. Oggi, invece, non è così. “Tutte le rese accessibili sono fatte a posteriori”, osserva Trunfio, e nonostante non manchino le aziende che lavorano su questo fronte, è una corsa contro il tempo. “Se devo rendere accessibile una pellicola con la distribuzione, i tempi sono strettissimi – spiega –. Ormai un film non resta più in programmazione per molto tempo. E poi, dopo il lavoro fatto, te lo ritrovi in televisione di nuovo non accessibile”.
Per questo da anni le associazioni si battono per la resa accessibile del grande schermo, portando la questione anche al centro di eventi importanti, come la Festa del Cinema di Roma. “Tutto è nato con il Roma Fiction Fest nel 2009 e con la nostra richiesta di rendere accessibile l’evento – racconta Laura Raffaeli, presidente di Blindsight Project, associazione romana impegnata a favore dei disabili sensoriali, da anni alle prese con la resa accessibile del festival –. Quell’anno abbiamo avuto audiodescrizione e sottotitolazione per tutte le opere presentate, la prima volta in Europa. Da lì abbiamo chiesto di ripetere l’esperienza nel 2010 e poi l’accessibilità per quella che sarebbe diventata la Festa del Cinema di Roma”. Le pellicole rese accessibili, però, sono solo quelle italiane. “Ogni anno sono sempre meno – spiega Raffaeli –, quest’anno erano soltanto due: Sole cuore amore di Daniele Vicari e 7 minuti di Michele Placido”. Quella di Roma, però, è una sorta di punta di un iceberg fatto da tante iniziative sparse lungo lo Stivale. Tante: dai festival alle rassegne, persino i concorsi. Tutte con una storia importante alle spalle e un lavoro certosino di resa accessibile, ma con un limite spesso invalicabile: quello di non riuscire a fare rete e condividere il lavoro fatto.
Una svolta potrebbe arrivare dalle app per i telefonini. Sono già diverse quelle attive e permettono agli utenti di utilizzare audiodescrizione e sottotitoli ovunque attraverso il proprio terminale (cfr. box a pag. 27). Anche in questo caso, però, non mancano i limiti. I film presenti sulle diverse applicazioni non sono tutti quelli in programmazione, ma opere presentate in eventi particolari o riguardanti solo le ultime uscite.
L’accessibilità in fase di produzione risolverebbe tutti i problemi a monte. Ma non solo. Potrebbe sostenere anche la creazione di nuove figure professionali. Ci hanno provato all’Università di Bologna, avviando nel 2013 un master in Screen translation nella sede di Forlì, che ha affiancato ai tradizionali percorsi di doppiaggio e sottotitolaggio l’audiodescrizione e la sottotitolazione in tempo reale. Ma ci sono anche diversi corsi realizzati al di fuori del circuito universitario. Come accade nel capoluogopiemontese, dove “Torino + Cultura accessibile” cura un corso riservato a studenti laureati. “Creiamo figure che all’estero viaggerebbero come delle schegge – racconta Trunfio –. In Inghilterra queste professioni già ci sono. In Francia si rendono accessibili anche le collezioni d’arte e le opere teatrali. C’è una cultura diversa: con la resa accessibile sono andati oltre il cinema”.
Per rendere pienamente fruibile a tutti la visione di un film, però, sottotitoli o audiodescrizioni non bastano. Per chi ha disabilità intellettive serve uno sforzo in più: contano anche l’ambiente e le modalità di proiezione. Per l’Associazione italiana persone Down (Aipd) bastano semplici accorgimenti, a partire dall’accessibilità dei posti in sala. “Il sistema delle lettere combinato con i numeri risulta difficile per individuare il posto – spiega Anna Contardi, coordinatrice nazionale dell’ Aipd –. Avere all’ingresso della sala una mappa dei posti a sedere potrebbe essere utile”. C’è poi l’esigenza di schede delle pellicole accessibili a tutti: “Bisognerebbe pensare a un sito istituzionale ad alta comprensibilità con le trame dei film”, aggiunge.
Per le persone con autismo, invece, servono accortezze in tutte le fasi della proiezione, ma si contano sulle dita di una mano le esperienze promosse in Italia che ne tengano conto. Iniziative sperimentali, spesso legate alla disponibilità economica degli enti locali. Per Laura Raffaeli, però, non è solo una questione di risorse. C’è un “problema di cultura: la spesa molto spesso è ridicola. E con le nuove tecnologie lo sarà sempre di più”. Intanto la premessa scritta dalla legge delega voluta proprio dal ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, promette bene, ma per le associazioni bisogna continuare a vigilare sui decreti attuativi del governo, affinché le promesse diventino realtà.
Redattore Sociale