ROMA – È “il grande sconosciuto delle patologie cardiovascolari”, colpisce oltre 1 milione di italiani soprattutto over 65 ed è responsabile di oltre 190.000 ricoveri l’anno in Italia: è lo scompenso cardiaco. Una patologia ancora oggi poco conosciuta dai pazienti e sotto diagnosticata.
Si stima che entro i prossimi 10 anni lo scompenso cardiaco arriverà ad interessare il 2,3% della popolazione italiana, 1 persona su 5 sopra i 40 anni sarà colpita dalla patologia nel corso della vita.
COS’E’ LO SCOMPENSO CARDIACO
Per scompenso cardiaco si intende una condizione in cui il cuore non è capace di distribuire il sangue in misura adeguata alle richieste metaboliche dei tessuti. Come per tutte le patologie, conoscere i sintomi della malattia, le sue cause e i fattori di rischio aumenta le possibilità di arrivare ad una diagnosi precoce e di accedere in maniera tempestiva alla terapia consentendo ai pazienti di avere una buona qualità della vita. Tuttavia lo scompenso cardiaco spesso non viene riconosciuto e i suoi sintomi vengono sottovalutati sia dai pazienti che dalla classe medica: “In primo luogo, c’è scarsa informazione tra i cittadini, che considerano questa condizione come un accompagnamento quasi inevitabile dell’età avanzata- spiega Maria Frigerio, direttore Cardiologia 2 all’ospedale Niguarda di Milano- poi bisogna considerare che i sintomi non sono specifici, potendosi associare a diverse altre condizioni. Questo a volte inganna anche i medici, che ad esempio possono indirizzare a indagini sull’apparato digerente anziché sull’apparato cardiovascolare pazienti – per lo più giovani – nei quali lo scompenso si esprime con l’inappetenza, il dolore alla bocca dello stomaco dopo pranzo o sotto sforzo, anziché con i sintomi più classici e conosciuti”.
A detta di Frigerio, un altro aspetto che può ritardare la percezione dei disturbi da parte del soggetto “è che, quando i sintomi si sviluppano gradualmente, il paziente può quasi inconsciamente modificare a poco a poco le sue abitudini in modo da poter compiere le attività della giornata nonostante la limitazione progressiva della tolleranza allo sforzo fisico”.
Quando si parla di scompenso cardiaco, quindi, è molto importante che il paziente assuma un ruolo attivo – di ‘driver’ si potrebbe dire – nel riconoscere i sintomi e recarsi tempestivamente dal proprio medico: una diagnosi e trattamento precoci possono garantirgli una buona qualità della vita.
LE TERAPIE
Ma quali sono i passi avanti che sono stati fatti dal punto di vista delle terapie? “Per molto tempo, l’approccio tradizionale alla terapia medica dello scompenso si è basato sull’utilizzo in combinazione di alcuni farmaci, rappresentati da diuretici, betabloccanti, ace-inibitori, antagonisti recettoriali dell’angiotensina, antagonisti dei mineralcorticoidi, somministrati generalmente con un dosaggio inizialmente basso e poi crescente”, spiega Claudio Rapezzi, direttore dell’Unità operativa di Cardiologia del Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna, che illustra qual è la novità nel trattamento dello scompenso: “E’ in arrivo una nuova opzione terapeutica che ha dentro di sè due molecole- spiega il cardiologo bolognese- il valsartan, che è un antagonista recettoriale dell’angiotensina, già noto, e il sacubitril, che inibisce l’enzima che degrada i peptidi natriuretici atriali”. Rapezzi fa sapere come il farmaco sia già passato attraverso il vaglio di un grande studio “condotto su migliaia di pazienti, lo studio Paradigm, che ne ha sancito sia la sicurezza che l’efficacia”. È importante precisare che tutto ciò avviene senza aggiungere ulteriori farmaci alla terapia, “ma sostituendo i precedenti, con evidenti benefici per il paziente, che vede diminuire del 10-20% il rischio di mortalità e di ricovero e può giovarsi di un prolungamento medio della durata della vita superiore all’anno o all’anno e mezzo”.
DIRE
Foto in copertina: https://www.flickr.com/photos/germantenorio