Coppie di una certa età e con problemi di salute. Coppie che riescono a diventare genitori. E’ questo l’identikit che l’immaginario collettivo attribuisce alle coppie senza figli. Ci sono donne che però, non riescono ad avere un bambino nonostante non siano eccessivamente in là con gli anni, ma sono entrate in menopausa precoce e soffrono quindi di insufficienza ovarica prematura o hanno una bassa riserva ovarica.
MENOPAUSA PRECOCE
Si parla di menopausa precoce quando la cessazione del ciclo mestruale avviene prima dei 40 anni: può succedere a causa della propria predisposizione genetica, di fattori ambientali o stile di vita oppure può accadere per cause iatrogene cioè essere la conseguenza di alcuni trattamenti farmacologici come la chemio o la radio terapia o l’essersi sottoposte a interventi per l’asportazione dell’endometrio, procedura spesso necessaria in caso di endometriosi.
BASSA RISERVA OVARICA
Al momento della nascita tutte le bambine all’interno delle ovaie possiedono già tutti i follicoli che dal menarca fino alla menopausa, genereranno quasi a ogni ciclo una cellula uovo che potenzialmente potrà essere fecondata. Per riserva ovarica si intende il patrimonio ovocitario, presente in un determinato momento della vita di una donna.
Alla nascita si stima che in ogni bambina siano presenti da 1 a 2 milioni di follicoli: nell’arco del periodo fertile della donna, in assenza di particolari problematiche, circa 500 follicoli si trasformano in ovociti e all’arrivo della menopausa si contano circa 1000 follicoli residui. Più passano gli anni, maggiore è il declino quantitativo dei follicoli ovarici, che dopo i 40 anni sono più spesso affetti anche da alterazioni strutturali.
La bassa riserva ovarica non è solo un fenomeno fisiologico dopo i 40 anni, ma è un problema anche per donne più giovani: di solito è ravvisabile in quelle che si sono sottoposte a chirurgia pelvica con asportazione di tessuto ovarico per rimuovere per esempio, cisti ovariche, endometriosi, neoplasie, nelle donne con familiarità per la menopausa precoce o per quelle che a causa di un tumore, si sono dovute sottoporre a radio e chemioterapia.
Nuove prospettive terapeutiche: ringiovanimento ovarico
Per le donne afflitte da tali problematiche che vogliono diventare mamme una nuova speranza può arrivare dal ringiovanimento ovarico: una metodica, per ora sperimentale, che attraverso due tecniche differenti si propone di agire sull’ovaio e invertire, anche solo parzialmente, il processo di invecchiamento con attivazione dei follicoli dormienti che altrimenti, rimarrebbero nell’ovaio senza svilupparsi, neanche sotto mirata terapia farmacologica.
Proprio di tale opportunità si è discusso nel Congresso Internazionale di Medicina Riproduttiva organizzato da Ivi, l’Istituto valenciano di infertilità a Bilbao dove è stato anche spiegato come, grazie al ringiovanimento ovarico, 4 donne con insufficienza ovarica precoce stanno affrontando una gravidanza.
«Queste tecniche permettono di offrire un’alternativa a donne con insufficienza ovarica prematura che non si sentono pronte per realizzare un trattamento di ovodonazione» spiega la dott.ssa Daniela Galliano, responsabile centro Ivi di Roma.
Il risvolto psicologico
La particolarità del ringiovanimento ovarico sta, dunque, anche nel fatto che, se l’infertilità è dovuta alla bassa riserva ovarica, in presenza di un età anagrafica inferiore ai 42 anni vi è la possibilità di diventare mamme usando i propri ovuli, senza dover ricorrere alla donazione di ovociti, un particolare di non trascurabile importanza da un punto di vista psicologico, come ci aiuta a capire la dott.ssa Vincenza Zimbardi psicologa all’Ivi di Roma: «Il progetto di concepimento occupa un posto centrale nella prospettiva di vita e la sua mancata realizzazione comporta un impatto psicologico spesso devastante. Guarire la propria infertilità attingendo dalle proprie risorse biologiche potrebbe rappresentare una possibilità preziosa per avvicinare la vita vissuta alla vita sognata, immaginata, progettata, ripristinando quel sentimento di integrità del proprio Sé, minato dalla malattia, una prospettiva che dunque contribuisce a ritrovare una diversa capacità di proiettarsi verso il futuro».
Fonte La Stampa