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Quello stretto legame fra cervello e intestino che incide sul benessere mentale

Quello stretto legame fra cervello e intestino che incide sul benessere mentale

Quello stretto legame fra cervello e intestino che incide sul benessere mentale
| sabato 24 Giugno 2017

Intestino e cervello hanno molti più legami di quanto possiamo pensare. Recenti ricerche sul cosiddetto gut-brain axis aprono nuove frontiere della medicina interna e della gastroenterologia. E non è un caso che vengano pubblicati studi che prendono in esame questo asse: uno degli ultimi è stato realizzato da ricercatori della McMaster University e pubblicato sulla rivista scientifica Gastroenterology .

Gli studiosi hanno somministrato un probiotico a un gruppo di pazienti che mostravano i sintomi della sindrome da intestino irritabile (IBS): dopo sei settimane sono andati a vedere gli effetti avuti sulla depressione. Inoltre tramite la risonanza magnetica funzionale hanno notato anche un cambiamento nell’attivazione di diverse aree cerebrali.

L’IBS E IL SISTEMA NERVOSO CENTRALE
«L’aspetto più importante della ricerca è l’analisi della co-associazione dell’IBS, in termini specifici la comorbilità, con disturbi come l’ansia e depressione – spiega Roberto De Giorgio, professore di medicina interna a Bologna e gastroenterologo – Si pensa che l’attivazione del gut-brain axis possa portare a modifiche del sistema nervoso centrale con lo sviluppo di questi disturbi.

I ricercatori hanno somministrato ai pazienti un probiotico a base di bifidobatteri, conoscendo la loro maggior capacità di ridurre i sintomi dell’IBS. Questa sindrome è clinicamente caratterizzata da dolore addominale, gonfiore e alterazioni dell’alvo e colpisce il 15% della popolazione, con un rapporto di tre a uno tra donne e uomini.

L’obiettivo dei ricercatori era però capire come il probiotico incidesse sull’asse intestino-cervello, andando a misurare il livello di depressione nel gruppo a cui era stato somministrato, rispetto al gruppo di controllo. Il risultato ha mostrato un valore più basso del punteggio legato alla gravità del disturbo nei pazienti trattati con i bifidobatteri.

L’ASSE INTESTINO-CERVELLO
«La ricerca evidenzia che la modulazione del lume intestinale provocato dai bifidobatteri è in grado di modificare alcune aree del sistema nervoso centrale – prosegue De Giorgio – Questa è una conferma dell’importante ruolo dell’asse intestino-cervello per la genesi di alcuni sintomi delle malattie, ma anche nel controllo del nostro benessere in condizioni fisiologiche».

Si parla di una rete neuronale molto complessa che, se si ammala, va incontro a importanti alterazioni, come quelle presenti nella sindrome dell’intestino irritabile. L’asse trova un punto di snodo nel cervello all’interno dell’intestino, dotato di un numero di neuroni pari a quelli che abbiamo nel midollo spinale e responsabile di varie attività. Il cervello intestinale regola diverse funzioni come motilità e assorbimento, ma anche le relazioni con il microbiota che gioca in questo studio un ruolo centrale.

«La somministrazione del probiotico non porta a una modifica diretta della flora intestinale, ma probabilmente modula il comportamento dei germi all’interno dell’intestino – continua De Giorgio – Noi sappiamo ormai che molte malattie hanno un forte legame con l’alterazione della composizione o dell’attività del microbiota: ora è importante capire come poterlo regolare per aiutare a combatterle»

RICERCHE PASSATE E FUTURE
Lo studio offre molto spunti, ma non è una novità assoluta. Già qualche anno fa alcuni ricercatori avevano preso in esame la relazione tra un mix di probiotici e l’influenza su alcune aree del sistema nervoso centrale. Ma questa ricerca era stata realizzata su donne sane e non su individui con la sindrome da intestino irritabile.

In ogni caso pur essendo interessante per approfondire il legame tra intestino e cervello, la ricerca ha un suo limite: è realizzata su un campione di persone piuttosto basso. Si parla di 22 individui a cui è stato somministrato il probiotico: tra questi sono stati osservati risultati sulla depressione in 14 casi. Numeri che vanno certamente ampliati nei prossimi studi.

Fonte La Stampa

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