L’osteoporosi non è un problema solamente femminile ma, al contrario, costituisce una seria minaccia per gli uomini che della malattia hanno scarsa consapevolezza.
L’osteoporosi è un importante problema di salute pubblica e la Società Italiana dell’Osteoporosi del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro (SIOMMMS) da tempo cerca di sensibilizzare gli uomini su questo problema forse meno noto. In occasione dell’ultimo congresso nazionale SIOMMMS, l’appello è stato lanciato proprio dall’endocrinologo americano Eric Orwoll, alla guida di un ampio studio di coorte sull’osteoporosi (Osteoporotic Fractures in Men – MrOS) che dal 1999 sta studiando 6000 uomini over 65.
LA FRAGILITÀ OSSEA MASCHILE
Gli uomini hanno una densità minerale ossea (bone mineral density – BMD) più elevata rispetto alle donne anche in virtù delle maggiori dimensioni delle ossa. Ma ciò non significa invulnerabilità. Infatti, la fragilità ossea, che nelle donne inizia bruscamente con la menopausa, appare negli uomini più tardivamente ed è meno frequente ma porta a danni maggiori, come ad esempio un rischio di decesso a un anno dalla frattura doppio rispetto alle donne.
«Questo dipende anche dalle condizioni di salute cardiovascolare e respiratoria dell’uomo, generalmente più compromesse. A causa di queste comorbidità, la fase perioperatoria e il decorso sono più a rischio negli uomini» ci ha spiegato Claudio Marcocci, Professore Ordinario di Endocrinologia, Direttore dell’Unità Operativa Endocrinologia 2, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana e Presidente della Siommms.
I FATTORI DI RISCHIO
«I fattori di rischio sui quali possiamo intervenire sono il fumo, l’alcol, l’adozione di una dieta sana e di uno stile di vita non sedentario» spiega Marcocci.
«Vi sono poi altri elementi che contribuiscono a mettere a rischio il benessere delle ossa e sono i farmaci impiegati per alcune patologie, come la terapia steroidea per le malattie respiratorie come la BPCO e quelle reumatiche, la terapia di deprivazione androgenica per il cancro alla prostata».
L’osteoporosi secondaria a terapie prolungate è, infatti, più frequente negli uomini. Vi è poi una componente genetica, che determina la crescita del nostro scheletro e il mantenimento della massa ossea per tutta la vita: «Raggiungere il proprio potenziale genetico di picco di massa ossea durante la crescita è fondamentale soprattutto per il benessere delle ossa più in là con gli anni».
Insomma, e questo è il messaggio lanciato anche dagli esperti riuniti a Firenze al Congresso internazionale World Congress On Osteoporosis, Osteoarthritis And Musculoskeletal Diseases, della salute delle ossa bisogna iniziare ad occuparsi il prima possibile, prima che sia troppo tardi.
L’ACCESSO AI FARMACI
Gli uomini sono poco o male trattati e hanno una scarsa aderenza alle terapie. Non aiuta il fatto che «spesso i pazienti anziani prendono molti farmaci ogni giorno e gli effetti della mancata assunzione di quelli contro l’osteoporosi può non essere visibile fin da subito» spiega Marcocci.
Eppure, «nel nostro paese, disponiamo di uno strumento chiaro, la nota 79, che indica i soggetti a rischio di osteoporosi. Questi vanno trattati. Le linee guida esistono e andrebbero applicate meglio». La Siommms ha messo a punto con SIR e AIFA un algoritmo che permette di individuare in pochi secondi sulla base di alcuni dati (anamnesi, comorbidità, densiometria ossea) la categoria di rischio di ciascuno.
IL PERCORSO TERAPEUTICO
L’obiettivo primario della terapia, tanto nell’uomo come nella donna con osteoporosi, è quello di ridurre il rischio di fratture. La maggior parte dei farmaci (bisfosfonati e denosumab) sono antiriassorbitivi, cioè bloccando il riassorbimento osseo contrastano la perdita di massa ossea. Il ranelato di stronzio, il cui impiego dovrebbe essere limitato ai casi severi nei quali non e’ possibile utilizzare gli altri farmaci, e monitorando comunque gli effetti collaterali, agisce anche stimolando la ricostruzione ossea.
Infine, unico farmaco con attività anabolica, è il teriparatide, solo per pazienti con fratture multiple o a frattura durante appropriato trattamento. Infine, «come in ogni malattia cronica – conclude il professor Marcocci – bisogna prestare molta attenzione all’aderenza terapeutica, anche attraverso la comunicazione medico-paziente. Inoltre, oltre al trattamento farmacologico, non dobbiamo dimenticare l’importanza dell’azione sugli altri fattori, quelli modificabili, legati allo stile di vita, all’alimentazione e all’uso di farmaci».
Fonte La Stampa.it