La sua storia è lunga ormai più di cinquant’anni. Ma l’esistenza della terapia ormonale sostitutiva, che prevede la somministrazione degli estrogeni nelle donne non più in età fertile per smorzare i sintomi della menopausa, di cui oggi, 18 ottobre, si celebra la giornata mondiale, non è stata sempre florida.
L’entusiasmo per aver trovato una risposta a quello che era un problema segnalato da molte donne oltre i 50 anni è stato infatti smorzato a più riprese da evidenze scientifiche che sottolineavano una aumentata probabilità di insorgenza di trombosi, ictus e tumori all’endometrio e al seno, tra le donne che l’assumevano.
Rischi che sono stati smorzati negli ultimi anni, grazie alla formulazione di prodotti con dosaggi ormonali inferiori e soprattutto a fronte di indicazioni terapeutiche ben definite: che prevedano la somministrazione soltanto una volta entrate in menopausa e comunque per periodi di tempo limitati. E che oggi risultano ulteriormente ridimensionati: la terapia ormonale sostitutiva non aumenterebbe il rischio di morte tra le donne che l’assumono.
La terapia ormonale sostitutiva non aumenta la mortalità
È questa la conclusione di uno studio pubblicato sul «Journal of the American Medical Association», in cui è stato effettuato un follow-up lungo diciotto anni. I ricercatori hanno preso in esame i risultati di due precedenti ricerche che avevano visto coinvolte oltre 26mila donne di età compresa tra i 50 e i 79 anni. Si tratta delle indagini più accurate condotte negli anni per valutare la sicurezza della terapia ormonale sostitutiva, nelle diverse formulazioni: a base esclusivamente di estrogeni o con estrogeni combinati con il progesterone.
La mortalità, a prescindere dalla causa, non è risultata differente rispetto a quella rilevata nel campione utilizzato come controllo: compresa tra il 27,1 (nelle donne in trattamento) e il 27,6 per cento. «Questi risultati supportano le linee guida che raccomandano l’uso della terapia ormonale sostitutiva per le donne appena entrate in menopausa che devono affrontare sia le vampate che altri sintomi – affermano i ricercatori -. D’altra parte, però, non fornisce prove a supporto dell’uso per la prevenzione delle malattie cardiovascolari o di altre malattie croniche».
Terapia ormonale sostitutiva: quando è indicata?
Donna, con poco più di 50 anni, di livello culturale medio-alto: questo è il profilo della persona che chiede aiuto al proprio ginecologo per attenuare i sintomi della menopausa e opta per la terapia ormonale sostitutiva. In Italia i numeri di chi l’assume non sono mai stati troppo alti: si stima una quota attorno al cinque per cento delle signore già in menopausa, su per giù quattordici milioni lungo la Penisola.
Vi sono situazioni in cui, in effetti, la terapia ormonale sostitutiva non è raccomandata: se una donna è stata colpita da tumore al seno o all’endometrio oppure se ha una cardiopatia ischemica. E casi in cui le controindicazioni non sono assolute, ma relative: come in presenza di obesità, di familiarità per il tumore al seno, di fibromi uterini.
Secondo alcuni studi, l’uso della terapia può comportare un aumento di trombosi venose profonde rispetto alle donne che non vi ricorrono. Rischio però limitato soltanto al primo anno di utilizzo. Molto modesta è pure l’eventualità di ammalarsi di tumore al seno: comune riscontrato soltanto nelle donne a cui la terapia ormonale sostitutiva veniva somministrata per periodi superiori ai cinque anni. I benefici generali e il miglioramento della qualità di vita sono riscontrati soprattutto nelle donne che soffrono i sintomi connessi all’entrata in menopausa.
Il parere dell’esperto
«La terapia ormonale va consigliata solamente in presenza di una chiara indicazione che tenga in considerazione sintomi specifici: vasomotori, da atrofia urogenitale, dolori muscolari diffusi – afferma Annibale Volpe, ordinario di ginecologia all’Università di Modena e Reggio Emilia -. La terapia deve essere somministrata per il tempo necessario che coincide con la manifestazione sintomatologica. Nelle donne che assumono la terapia ormonale entro dieci anni dall’inizio della menopausa, ci sarebbe una riduzione dei processi di calcificazione delle arterie coronariche, un beneficio in termini di mortalità e un mancato aumento dell’incidenza degli eventi cardiaci».
Fonte La Stampa