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Infermieri e Studenti Infermieri: quali responsabilità’?

Infermieri e Studenti Infermieri: quali responsabilità’?

Infermieri e Studenti Infermieri: quali responsabilità’?
| giovedì 9 Febbraio 2017

untitled-41-720x480L’infermiere è responsabile dell’assistenza infermieristica: lo afferma il profilo professionale, ossia il D.M. 739/1994 e lo conferma il Codice Deontologico, laddove proprio all’articolo 1 asserisce il medesimo principio. La legge 42/1999, poi, illustra, tra gli altri, quali sono gli strumenti, mi si conceda il termine, e i riferimenti necessari al fine di caratterizzare e delineare l’ambito della responsabilità infermieristica, ossia il profilo, il codice deontologico, l’ordinamento didattico, la formazione di base e la formazione post-base.

La responsabilità pare essere, e forse lo è davvero, il fulcro centrale attorno al quale organizzare l’etica dell’esercizio professionale. Il “principio responsabilità” sembra quindi essere l’unico strumento in grado di offrire risposte sia agli interrogativi che con estrema rapidità emergono dal processo della scienza e della tecnica sia a quelli che i professionisti della salute quotidianamente si pongono nei vari contesti assistenziali. La responsabilità rappresenta, pertanto, il dovere di prevedere le possibili conseguenze del nostro agire, di considerare gli scenari futuri delle nostre azioni e delle nostre omissioni, di modificare i progetti e le vie che si percorrono sulla base di ciò che potrebbe accadere. Jonas parla di una “responsabilità per il da farsi”, che impone all’agente di considerare preventivamente le possibili conseguenze delle proprie azioni. Jonas, ancora, la contrappone al modello tradizionale di “responsabilità di”, fondato invece sulla sanzione e sulla retribuzione, che si traduce in un giudizio sugli atti compiuti nel passato.

Il primo modello è certamente un modello prospettico, che si traduce nell’impegno, di cui tra l’altro e non caso, è permeato tutto il Codice Deontologico dell’Infermiere, di prendersi cura di chi è vulnerabile e le cui possibilità di salute dipendono dalla misura del nostro agire. Il modello retrospettivo, purtroppo ancora troppo di moda e fin troppo presente nella coscienze individuali, è considerato uno strumento perdente in quanto non si traduce in un progetto di azione ma segna il passo nel dovere di rendere conto davanti a un soggetto esterno delle proprie azioni.

Il termine “responsabilità”, come utilizzato nell’ambito della professione infermieristica, grazie ai documenti e alle norme citate sopra, esprime un concetto pregante e significativo in relazione all’esercizio professionale. Assume, pertanto, il valore positivo dell’assumere una condotta congrua rispetto ai bisogni dell’assistito con riferimento ai contenuti delle norme che regolamentano la professione, Codice deontologico in testa.

Il lemma “responsabilità” si rifà al latino respondere, da cui responsum, ossia risposta: ma la risposta che fornisce il professionista è una risposta qualificata, non è una risposta qualunque ma è quella che viene da un soggetto competente. Spondere, per i latini, da cui appunto rispondere, indicava il promettere; ma si trattava di una promessa solenne, che portava in sé l’idea del rito, della solennità appunto. Il professionista, quindi, che sa fornire una risposta qualificata e competente, è in grado di avere cognizione del risultato atteso del suo agire e del suo processo, inteso anche come percorso verso un obiettivo.

Ma la responsabilità, codici giuridici e questa volta non solo deontologici alla mano, rappresenta anche il dovere che grava su chiunque di rispondere delle proprie azioni; si parla, dunque, di responsabilità penale, di responsabilità civile, di responsabilità disciplinare, ecc. E, come è noto, la materia della responsabilità infermieristica e, più in generale la materia della responsabilità sanitaria, è stata interessata negli ultimi quindici anni da significative innovazioni, innescate da diversi fattori, tra i quali gli importanti progressi scientifici e tecnologici, le norme che hanno profondamente mutato la professione infermieristica non più professione ausiliaria, il passaggio da una forma di responsabilità definita sino al 1999 extracontrattuale e poi contrattuale, appellandosi al cosiddetto contatto sociale, che individua una relazione specifica tra due soggetti, professionista sanitario e paziente, non vincolati da un preesistente contratto che comporta l’esecuzione di prestazioni tipicamente contrattuali da parte di un soggetto nei confronti dell’altro (Cass. 22 gennaio 1999, n. 589).

Ma quale responsabilità in capo all’infermiere per il fatto illecito commesso dallo studente, ossia dall’infermiere in tirocinio, oppure quali responsabilità sono proprie del tirocinante infermiere?

Occorre innanzitutto premettere come, ai sensi dell’art. 1 del D.M. 739/1994, l’infermiere è responsabile dell’assistenza generale infermieristica e, in quanto tale, è titolare di una posizione di garanzia e di protezione nei confronti degli assistiti, alla quale non può sottrarsi adducendo che l’assistito è “affidato” a un allievo infermiere. In altre parole, in virtù degli obblighi di garanzia che gravano sull’infermiere, in via di prima approssimazione può affermarsi che l’infermiere potrebbe essere chiamato a rispondere di eventuali comportamenti di altri operatori, tra cui ad esempio, gli allievi, sottoposti in qualche modo alla loro vigilanza.

Ma andiamo per gradi. Innanzitutto occorre distinguere tra responsabilità civile, tradizionalmente e sinteticamente intesa come l’obbligo di risarcire il danno provocato dalla propria azione che ha causato una danno alla persona, e responsabilità penale, che sorge unicamente a seguito della commissione di un illecito di natura penale, ossia di un reato.

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E’ indubbio come, alla luce dell’art. 2048 del codice civile, l’infermiere referente del tirocinante risponda, in sede civile, dei danni provocati dallo studente. L’articolo in questione, infatti, afferma che: “I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto”. L’art. 2048 del codice civile pone una presunzione di responsabilità a carico di chi insegna o di chi deve vigilare in caso di danno procurato dagli allievi, che può essere superata soltanto con la dimostrazione di aver esercitato la vigilanza su di esse con una diligenza diretta a impedire il fatto, cioè quel grado di sorveglianza correlato alla prevedibilità di quanto può accadere. Al professionista, diversamente che allo studente, potrebbe essere attribuita una responsabilità sia per culpa in eligendo, sia per culpa in vigilando, ossia nel caso in cui attribuisca allo studente attività che non rientrano, in quanto studente, nelle sue competenze, sia nel caso, ad esempio, di mancata presenza nel corso dell’esecuzione dell’intervento assistenziale, in funzione didattica e di sorveglianza, al fine di rimediare prontamente a eventuali errori dell’esecutore materiale.

La responsabilità di chi sorveglia o insegna, ovviamente, non esclude la responsabilità dell’allievo, la quale concorre solidalmente con quella del sorvegliante.

Al fine di evitare di ingenerare eccessive preoccupazioni in capo agli infermieri che svolgono attività di affiancamento ai colleghi in tirocinio, va detto che difficilmente il paziente che reputa di essere stato danneggiato da un azione prodotta dallo studente avrà interesse, dal punto di vista giuridico, di esercitare un’azione legale di tipo civilistico-risarcitorio nei confronti del singolo o dei singoli professionisti ma piuttosto preferirà, e ciò si dimostra sicuramente più vantaggioso per il paziente, svolgere la sua azione e promuovere le sue richieste risarcitorie nei confronti della struttura sanitaria “ospitante”, con la quale ha stipulato quello che oramai viene definito “contratto di assistenza sanitaria” oppure “contratto di spedalità”. In base a tale rapporto contrattuale, la struttura sanitaria, risponde, ossia è responsabile, dei fatti dolosi o colposi dei “terzi” di cui si avvale per l’adempimento delle proprie obbligazioni (Art. 1228 c.c. Responsabilità per fatto degli ausiliari)

Per quello che riguarda la responsabilità penale merita di essere presa in considerazione una tematica certamente importante: si tratta della c.d. “colpa per assunzione”, che si fonda sul dovere di diligenza.

Di regola, l’osservanza del dovere di diligenza impone al soggetto di compiere l’azione in questione adottando determinate misure cautelari idonee a prevenire l’evento lesivo o il pericolo che integra una fattispecie criminosa. In alcuni casi, il dovere di diligenza impone al professionista un obbligo di astensione da una determinata azione, sia perché compierla porterebbe con sé un rischio troppo elevato di realizzazione di un reato colposo sia sulla base della considerazione che il soggetto non è sufficientemente esperto per espletare prestazioni o attività che richiedono particolari cognizioni tecniche: l’inosservanza della regola cautelare, che determina il rimprovero soggettivo all’agente e la conseguente imputazione della condotta a titolo di colpa, risiede già nell’essersi il soggetto assunto un compito, nella consapevolezza (o nella mancata colposa consapevolezza) di non possedere la capacità fisico-intelellettuali per assolverlo.

In altre parole, qualora all’infermiere in tirocinio venga assegnata una prestazione o un intervento rivolto a un assistito per il quale non è competente, lo studente avrà il diritto ma anche l’obbligo, per non cadere in responsabilità, di rifiutare l’adempimento. E parimenti, egli non deve adempiere nel caso in cui gli venga prescritto di eseguire un intervento assistenziale pur in assenza degli strumenti cautelari posti per prevenire eventi lesivi: se egli decide di procedere ugualmente, si assume anche l’onere di sopperire alle mancanze delle suddette cautele e, di conseguenza, la responsabilità per gli eventi lesivi che da ciò dovessero derivare.

A tal proposito si riportano alcuni passaggi di una sentenza, certamente non recente, che può servire per meglio comprendere alcuni dei principi delineati.

“Sono responsabili per omicidio colposo una infermiera professionale e una allieva infermiera per la morte di due neonati causata dalla somministrazione di farmaci contenenti cloruro di potassio in dosi errate. La somministrazione era stata eseguita dall’allieva infermiera. L’infermiera è responsabile in quanto avrebbe dovuto controllare più da vicino l’allieva che aveva preparato la fleboclisi. Aver lasciato sola l’allieva in un compito così delicato è la colpa principale dell’infermiera. Anche l’allieva versa in colpa, seppur di grado inferiore in quanto doveva far controllare dall’infermiera se tutto era stato preparato a regola d’arte” (Tribunale di Firenze, 23 marzo 1981, n. 713)

Autore Avv. Giannantonio Barbieri

Articolo tratto dalla Rivista Professione Infermiere del Collegio IPASVI di Bologna, n.3/2013

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Bibliografia

Ambrosetti F. e altri, La responsabilità nel lavoro medico d’equipe, UTET, 2003

Barbieri G. Pennini A., Le responsabilità dell’Infermiere, Carocci Faber, 2008

Benci L., Aspetti giuridici della professione infermieristica, McGraw-Hill, 2008

Fiandaca G, Musco E., Diritto Penale, Parte generale, Zanichelli, 2003

Jonas H., Il principio responsabilità, Torino, Einaudi, 1990.

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