Un calo complessivo c’è stato ed è documentato dai numeri. Ma è ancora troppo presto per cantare vittoria, se in uffici, ospedali, aziende e negozi di tutta Europa ancora un dipendente su quattro risulta esposto al fumo passivo . Sono queste le due facce della stessa medaglia di uno studio presentato al congresso della società europea di medicina respiratoria (www.erscongress.org), in corso fino a mercoledì a Milano. L’indagine è stata realizzata in due tranche: con un primo rilevamento effettuato al 2009 e un altro relativo al 2014.
Nel frattempo, oltre che in Italia, le maglie delle leggi antifumo si sono strette in diversi Stati: come la Bulgaria, la Spagna, il Belgio e l’Ungheria. Ma per tutelare i non fumatori sui luoghi di lavoro di strada da fare ce n’è ancora abbastanza.
Non fumatori poco tutelati in ufficio
I ricercatori dell’Imperial College di Londra, passando in rassegna i dati raccolti da cinquantacinquemila cittadini del Vecchio Continente, hanno scoperto come il varo di leggi ad hoc abbia iniziato a sortire gli effetti sperati. Se nel 2009 una persona su due che entrava in un bar risultava esposta al fumo passivo, un lustro più tardi la percentuale è risultata dimezzata. Un’evidenza che è emersa anche relativamente agli ingressi nei ristoranti: dove prima una persona su tre si ritrovava costretta a inalare le sostanze sprigionate dalla sigaretta fumata da qualche altro avventore, mentre nel 2014 il problema riguardava un cliente su nove.
Opposto è stato invece il trend osservato in orario lavorativo. Qui, secondo gli scienziati inglesi, la situazione è peggiorata. E in effetti i numeri dicono questo: tra il 2009 e il 2014 la quota di dipendenti esposta al fumo passivo è passata dal 23,8 al 27,5 per cento. Un dato che dimostra come «molto rimanga da fare per tutelare i non fumatori sui luoghi di lavoro», ha spiegato Filippos Filippidis, docente di salute pubblica all’Imperial College e a capo del gruppo che ha condotto l’ultima ricerca, finanziata dalla Commissione Europea nell’ambito del programma quadro «Horizon 2020» (www.horizon2020news.it).
Leggi antifumo: l’Europa marcia a due velocità
Il panorama delle restrizioni adottate sui luoghi di lavoro è in effetti eterogeneo, in Europa. Secondo gli studiosi, conviene allora prendere esempio dalla Gran Bretagna, dalla Svezia e dall’Irlanda. Grecia e Cipro, portati come esempio da Filippidis in quanto realtà a lui più note, sono invece piuttosto indietro nell’applicazione di leggi antifumo comunque già esistenti. Anche in Italia il divieto si applica a tutti i luoghi di lavoro, pubblici e privati: dunque pure negli studi professionali, dove viene data priorità alla tutela dei clienti. Le difformità nell’applicazione delle leggi derivano anche dai possibili reclami avanzati dai dipendenti fumatori. I più anziani ricorderanno come prima, anche negli uffici pubblici, si potesse fumare. C’era l’abitudine tacita di recarsi n bagno, per non accendere la sigaretta in faccia al dirimpettaio di scrivania o al cliente presente allo sportello. Il cambio di rotta, inizialmente, ha fatto crescere il numero di ricorsi. Una pratica che con gli anni è comunque diminuita, grazie pure all’aumentata consapevolezza dei danni provocati dal fumo. Una questione che non chiama in causa soltanto i fumatori.
Il fumo passivo: conseguenze per la salute
Le conseguenze del fumo passivo sono infatti ormai note – aumentata probabilità di insorgenza di ictus cerebrale, infarto del miocardio e tumore del polmone sono le principali – e soprattutto condivise all’interno della comunità scientifica. «Tanto il fumo attivo quanto quello passivo producono danni nei tessuti per accumulo di mutazioni nelle cellule: più tempo siamo esposti, maggiori saranno le conseguenze», afferma l’oncologa Giulia Pasello, dell’Istituto Oncologico Veneto di Padova. «I bambini che vivono con un fumatore hanno maggiore probabilità di avere l’asma o di essere soggetti allergici, per esempio. In più, ogni anno in Italia si contano tra 150 e 300mila casi di bronchite e polmonite sotto i diciotto mesi, riconducibili anche all’esposizione cronica al fumo».
Considerando che ogni anno nel mondo sono seicentomila le persone che perdono la vita per una scelta subìta, com’è quella che di vivere in ambienti occupati anche da fumatori, negli spazi condivisi non si dovrebbe fumare. «I fumatori che hanno figli piccoli – chiosa la specialista – dovrebbero inoltre cambiarsi e lavarsi le mani appena rientrati a casa. In questo modo si riduce al minimo il possibile contatto fra i bambini e i residui di fumo .
Anche per strada o al parco il fumo di sigaretta può essere inalato dai bambini che sono intorno a noi: sebbene non sia vietato fumare all’aperto, sarebbe sempre meglio evitare di accendersi una sigaretta se ci sono dei minori nelle vicinanze».
Fonte La Stampa