Per merito della terapia, che non guarisce, ma impedisce alla malattia di progredire, l’Hiv fa oggi meno paura. Ma ancora una volta e’ necessario ripetere che non bisogna abbassare la guardia. La trasmissione dell’infezione non si e’ arrestata: superata la fase drammatica in cui lo scambio di siringhe tra tossicodipendenti totalizzava ogni anno migliaia di nuove infezioni (il fenomeno si e’ oggi molto ridimensionato in Italia, persistendo solo marginalmente) Hiv continua ad essere trasmesso soprattutto per via sessuale.
Il numero delle nuove infezioni per anno non e’ ovviamente definibile, perche’ in gran parte dei casi vengono diagnosticate molto tempo dopo. Piu’ del 30% delle nuove diagnosi di infezione da Hiv del 2015 sono state effettuate in persone che presentavano gia’ i sintomi di un’infezione vecchia di anni. È stato stimato che il numero annuale delle nuove infezioni in Italia non sarebbe inferiore a quello delle nuove diagnosi di infezione, che sono rimaste stabilmente 3500-4000 per anno.
In attesa dei dati aggiornati al 2016, varie evidenze confermano un che i giovani maschi che fanno sesso con maschi pagano un rilevante tributo alla malattia, che rende necessari interventi di prevenzione mirati. Intanto, da venti anni a questa parte, le caratteristiche delle persone che vivono con l’infezione da HIV sono profondamente cambiate. Il numero delle persone in trattamento antiretrovirale in Italia e’ giunto a sfiorare le 100.000 unita’. La terapia a consentito a molti di invecchiare, tanto che l’eta’ media de pazienti italiani che frequentano gli ambulatori dei centri di malattie infettive si e’ approssimata ai 50 anni o spesso li ha superati. Indagini recenti dimostrano che la maggioranza di queste persone svolge un’attivita’ lavorativa e professionale del tutto regolare. Persiste tuttavia una in una buona parte dei casi con importante disagio sociale e rilevanti fragilita’,per cui e’ difficile seguire le cure e rimanere in contatto con i centri di assistenza.
La 16th European Aids Conference, che si svolge a Milano dal 25 al 27 ottobre, e’ un’importante occasione per sottolineare la necessita’ di riservare a Hiv-Aids, in Italia e nel mondo, l’attenzione egli interventi necessari. Per la seconda volta a Milano, a sottolineare il ruolo di questa citta’, la piu’ colpita in Italia dall’epidemia, nella lotta contro l’Aids anche sul piano scientifico, il congresso vede la partecipazione di delegazioni di ricercatori e clinici da tutta Europa e da molti Paesi extraeuropei.
Vari qualificati contributi scientifici verranno presentati da Soci di Simit, Societa’ Italiana di Malattie Infettive e Tropicali. Il congresso Europeo cade negli stessi giorni in cui il Piano Nazionale per l’Aids predisposto dal Ministero della Salute viene discusso ed auspicabilmente licenziato nella Conferenza stato Regioni.
IL PIANO NAZIONALE PER HIV – ‘Il Piano Nazionale- riferisce il nuovo presidente della Simit Prof. Massimo Galli, che ne ha coordinato l’elaborazione- si accinge finalmente a completare il suo percorso istituzionale. Ora bisogna arrivare alla sua applicazione, cominciando da gruppi di lavoro che provvedano all’articolazione dei vari punti del piano facendo lavorare insieme commissioni ministeriali e regioni con le associazioni di volontariato e, per quanto di loro competenza, le societa’ scientifiche.
L’integrazione delle azioni del Piano nei livelli essenziali di assistenza garantiti su tutto il territorio nazionale e’ il passaggio fondamentale affinche’ tutto questo possa avvenire’. Elaborato dalle sezioni dedicate del comitato tecnico nazionale del ministero, il piano, che dagli specialisti e’ considerato un’importante ‘svolta per l’intervento sull’Hiv-Aids in Italia’, da’ particolare risalto agli interventi di prevenzione in popolazioni chiave con un approccio community-based ritenuto indispensabile per portare la prevenzione tra le persone piu’ a rischio, continua la Simit.
A sottolineare l’importanza degli interventi di prevenzione in alcune popolazioni chiave puo’ essere citato un contributo al congresso europeo della Clinica delle Malattie Infettive dell’Universita’ di Milano, ospedale Sacco, presentato da Alessia Lai, Claudia Balotta e collaboratori. Attraverso lo studio delle sequenze di 156 isolati di Hiv ottenuti tra il 1999 e il 2015 da 153 persone transgender da maschio a femmina, per il 98% sudamericane, confrontate con oltre cinquecento sequenze virali ottenute in pazienti italiani, viene dimostrato un evidente flusso di virus di provenienza sudamericana verso pazienti italiani, ma anche la trasmissione di Hiv di provenienza italiana a persone transgender, a conferma della necessita’ di interventi di prevenzione in questa particolare modalita’ di rischio.
“È stato stimato che almeno il 20% delle persone transgender siano nel mondo portatrici dell’infezione da Hiv e che il loro rischio di contrarla sia 49 volte maggiore rispetto alla popolazione generale. Mettere le persone transgender che risultano infettate rapidamente in terapia antiretrovirale, bloccando la replicazione del virus e di conseguenza la trasmissibilita’ dell’infezione, e’ il provvedimento piu’ efficace sia per il singolo, in cui viene fermata la progressione di malattia, sia ai fini di sanita’ pubblica. Spesso, tuttavia, le condizioni di vita di queste persone ostacolano il mantenimento in cura, con conseguenze negative sia individuali, sia per la comunita’”, conclude Galli.
IL VACCINO – Prosegue la strada alla ricerca della soluzione definitiva per combattere l’Hiv, il vaccino. Ma, nonostante le varie speranze alimentate negli ultimi anni da media e da grandi dichiarazioni, la soluzione appare ancora lontana. ‘La pretesa non e’ quella di un vaccino in senso stretto, ma forse quella di un prodotto che possa coadiuvare e alleggerire la terapia. Il vaccino vero e proprio rimane lontano come lo e’ stato in tutti questi anni- spiega il Prof. Giovanni Di Perri, Professore Ordinario di malattie Infettive, Universita’ degli Studi di Torino, e consigliere Simit- Quando si parla di malattie da infezioni che non lasciano una immunita’ protettiva, non e’ facile trovare la soluzione. Parliamo quindi non solo di Hiv, ma anche di malaria, tubercolosi e tante altre patologie. Qualcosa e’ stato fatto, ma senza mai raggiungere appieno l’obiettivo’.
Anche la terapia e’ oggi meno difficile da sostenere e piu’ semplice da assumere. ‘I farmaci sono molto meno tossici rispetto al passato- conclude il Prof. Di Perri- e permetteranno di andare avanti nel tempo senza scatenare tutti quei danni che molecole piu’ vecchie producevano. Si potranno ridurre sempre piu’, in chi ha un assetto immunitario virologico ottimale, il numero dei farmaci, che potranno in futuro essere iniettati addirittura una volta al mese. E forse, in seguito, se si confermassero alcune possibilita’ teoriche, anche una volta all’anno’.
LA SITUAZIONE IN LOMBARDIA – La Lombardia detiene il triste primato del piu’ alto numero complessivo di casi di Hiv tra le regioni italiane. In base agli ultimi dati disponibili, circa 1/3 dei casi totali italiani (circa 23mila) sono stati diagnosticati in Lombardia, meta’ dei quali nell’area metropolitana di Milano.
Ma il capoluogo lombardo nel 2015 deteneva anche il primato di maggior numero di nuove infezioni da HIV, sei per 100mila abitanti italiani e 20 per 100mila abitanti stranieri. ‘Spesso vengono ricoverate per patologie riconducibili all’Aids, quindi questo vuol dire che il virus l’hanno acquisito anni prima- spiega la Prof.ssa Antonella D’Arminio Monforte, Direttore della Clinica Malattie Infettive e Tropicali del dipartimento di Scienza della salute dell’Asst-Polo universitario Santi Paolo e Carlo di Milano- Anche in Lombardia, come nel resto d’Italia, sono frequenti le diagnosi tardive. Ed e’ difficile identificare il sommerso. Va pero’ sottolineato che molto del sommerso e’ probabilmente costituito da persone che non hanno attribuito un rischio reale a rapporti eterosessuali avuti in passato. Si tratta di persone ora sulla cinquantina, spesso donne, non si sono mai poste il problema del test in quanto non si percepivano a rischio. Inoltre, l’uso di sostanze che rendono i soggetti piu’ disinibiti e, quindi, meno attenti alle precauzioni continua a rappresentare un fattore che espone a maggior rischio di infezione, specie in contesti ove si pratica sesso promiscuo’.
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