Un rinvio di un difensore su un lancio lungo. O una potente girata a rete da parte di un centravanti, per trasformare in un pericolo concreto l’esito della sgroppata di un compagno lungo la fascia. I traumi del cranio fanno parte della carriera di un calciatore, indipendentemente dal ruolo che occupa sul rettangolo verde. La loro causa è da ricercare nella frequenza dei contatti del pallone con la testa, piuttosto che negli scontri di gioco con un avversario. La conferma giunge da una ricerca appena pubblicata sulla rivista «Neurology».
Trauma cranico: rischi più alti per chi colpisce spesso di testa
Lo studio, condotto da ricercatori dell’Albert Einstein College of Medicine di New York, ha dimostrato che i calciatori che colpiscono sovente la palla di testa hanno probabilità triplicate di avere sintomi da concussione cranica rispetto a chi è poco votato al gioco aereo.
Allo studio hanno preso parte giocatori adulti di calcio amatoriale che giocavano almeno sei mesi l’anno in campionati o club della città di New York. A tutti è stato chiesto di compilare un questionario indicando la frequenza con cui avevano disputato una partita di calcio (o calcetto) nelle due settimane precedenti, il numero di scontri involontari e i colpi di testa effettuati. Nel documento si chiedeva pure quanto spesso durante la partita gli intervistati avessero avvertito i sintomi di una concussione cerebrale moderata (cefalea e vertigini), grave (stordimento) o molto grave (cure mediche a gioco fermo oppure perdita di coscienza). È così emerso che tra chi colpiva spesso la palla di testa, il venti per cento avvertiva sintomi concussivi da moderati a gravi.
Secondo Michael Lipton, neuroradiologo e docente di psichiatria e scienze comportamentali all’Labert Einstein College di New York, «dai risultati emerge che il gruppo che ha riferito il maggior numero di colpi di testa aveva un rischio tre volte maggiore rispetto agli altri giocatori di avere sintomi da concussione cerebrale».
Rugbisti più a rischio dei calciatori
Lo studio, come precisato dagli stessi autori, presenta un limite: quello di aver considerato soltanto informazioni riferite dai partecipanti, un aspetto che potrebbe indurre in errate valutazioni della stima. Detto ciò, il tema dei traumi cranici negli sportivi è attuale e discusso con frequenza anche dalla comunità scientifica. Oltre ai calciatori, sotto le luci dei riflettori sono spesso finiti anche i rugbisti, che non subiscono il contatto diretto tra la palla ovale e la testa.
L’anno scorso finanche la Lega Nazionale Football statunitense ad ammettere un legame diretto tra i traumi cranici subiti dai giocatori e la comparsa dell’encefalopatia cronica. Si tratta di una grave malattia degenerativa cerebrale di cui soffrono molti atleti della National Football League. Tra i sintomi più comuni vi sono le difficoltà cognitive, il mal di testa, i disturbi dell’umore e i pensieri suicidi.
Il riconoscimento del nesso di causa-effetto è giunto dopo anni di schermaglie verbali, tra i famigliari di ex giocatori nel frattempo deceduti e l’istituzione sportiva. Adesso si guarda pure ai calciatori. Gli scenari sono meno preoccupanti, ma per non rischiare è meglio non esagerare coi colpi di testa.
Fonte: FABIO DI TODARO La Stampa