BOLOGNA – I genitori “perdano il vizio” di dare arachidi e noccioline ai figli piccoli durante l’aperitivo. Perchè la frutta secca è una delle principali cause di soffocamento nei bambini. E’ il consiglio dell’esperta Maria Majori, da 17 anni pneumologo interventista all’ospedale di Parma, che non più tardi di tre mesi fa è balzata agli onori della cronaca per aver salvato la vita a tre bambini in 24 ore. Avevano inalato chi frammenti di arachidi, chi pezzi di carota cruda e chi (il più piccolo dei tre, di soli 10 mesi) un seme di girasole. “Il periodo più a rischio è tra gli uno e i quattro anni– spiega Majori, parlando all’agenzia ‘Dire’ a margine del congresso nazionale dell’Aipo, in corso a Bologna- con un picco di incidenza intorno ai due anni”. Questo prima di tutto, sorride la dottoressa, perchè “i bambini spesso non stanno fermi seduti a mangiare“.
Inoltre, a quell’età “i molari non sono ancora ben formati e quindi non hanno una presa efficace sul cibo in bocca”. Infine il riflesso della deglutizione, quello in sostanza che chiude le vie aeree quando si inghiottisce qualcosa, nei bambini piccoli è ancora immaturo e quindi non perfettamente coordinato.
Come ridurre i pericoli, dunque?
La vecchia regola di non dare ai bambini oggetti o cibi molto piccoli resta sempre la più valida. In particolare, sottolinea Majori, la frutta secca è il nemico numero uno da combattere. “E’ quella che più di frequente viene inalata dai bambini- spiega l’esperta- i genitori dovrebbero perdere il vizio di dare arachidi e noccioline ai figli durante l’aperitivo”.
La frutta secca è anche la più pericolosa. Prima di tutto, come ogni alimento, nella gola o nella trachea “tende a spugnarsi con le secrezioni interne e quindi ad aumentare di volume”. Inoltre, la frutta secca “rilascia degli olii che innescano una infiammazione della mucosa interna delle vie aeree”. Quindi, quando si estrae il corpo estraneo, “c’è il rischio di sanguinamento”. Insomma, coi piccoli bisogna sempre tenere gli occhi bene aperti. Un corpo estraneo nei polmoni, oltretutto, “può anche restare mesi” senza dare problemi al bambino, che magari sul momento tossisce e va in affanno, ma dopo si riprende perchè il corpo estraneo si è posizionato in un punto che non dà fastidi immediati.
Il campanello d’allarme, spiega Majori, deve scattare quando “il bambino, che fino a quel momento non ha avuto problemi respiratori, comincia a soffrire patologie croniche come asma o polmoniti“. Negli adulti, addirittura, si può passare molto tempo senza avere sintomi. “Spesso il riscontro è occasionale”, ammette la dottoressa, e non è raro che il corpo estraneo nelle radiografie si confonda con un (inesistente) tumore. In un bambino, sottolinea ancora Majori, il rischio di soffocamento è dato sia dal corpo estraneo nelle vie aeree sia dalla stessa procedura di intervento, fatta in broncoscopia con uno strumento rigido (un cilindro di ferro) dotato di una microcamera e di una pinza per afferrare l’oggetto. La delicatezza dell’intervento sta prima di tutto nel fatto che il bambino non viene anestetizzato completamente, perchè “va garantito il respiro spontaneo”. Con un’anestesia profonda, infatti, i muscoli si rilassano troppo e il corpo estraneo rischia di spostarsi.
L’intervento però è delicato anche perchè il broncoscopio, quando viene inserito, di fatto impedisce la respirazione. Quindi serve mano ferma, ma allo stesso tempo velocità e coordinazione perfetta con l’anestesista, che detta i tempi della ventilazione. Nel caso di bambini molto piccoli il tutto è reso ancora più difficile dalle dimensioni delle vie aeree, che hanno un calibro di cinque millimetri. Nel marzo scorso, all’ospedale di Parma, con questa tecnica Majori ne ha operati tre in 24 ore: due hanno due anni, uno appena 10 mesi. “E’ stato un fatto straordinario- ammette la dottoressa- più che altro per la rarità della situazione. Tre interventi in 24 ore credo che sia un primato mondiale“. Del resto, in 30 anni all’ospedale di Parma sono stati appena 90 i casi di inalazione di corpi estranei da parte di bambini. Quindi si tratta di casi non frequenti, al massimo due o tre all’anno. “E’ stato un impegno mentale, emotivo e di concentrazione molto forte- ricorda Majori- sul momento non ho pensato di fare una cosa straordinaria, ho avuto solo un senso di scampato pericolo. Quell’esperienza mi ha frastornato per parecchio tempo, è stata emotivamente fortissima. Ti passano per la testa tante cose in quei momenti. Ma io sono la stessa di prima, guai se non lo fossi”, sorride la dottoressa. (DIRE)