Le cure palliative sono in Italia a un punto disvolta: con il Dpcm “Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza” (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 18/3/2017) le cure palliative sono infatti state riconosciute come livello essenziale di assistenza, comprendendo in esse anche la gestione organizzata (art.23) delle cure domiciliari.
Nei nuovi Lea viene in pratica riconosciuta e garantita “la specificità specialistica delle cure palliative non più inquadrate nel contenitore indifferenziato delle cure domiciliari rivolte alla non autosufficienza e alle fragilità che non richiedono un approccio palliativo”.
Nella concezione oggi condivisa, la casa è il luogo di cura e di setting più idoneo per le terapie palliative. La gestione del cronico oggi può quindi essere pensata come affidata alla famiglia supporta dal medico di medicina generale, dall’equipe specialistica e dai caregiver.
Per Antonella Serafini, componente dell’esecutivo AIPO (Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri) e dirigente medico presso la pneumologia di Imperia, questo passo, dopo la Legge 38-2010, costituisce un “vero punto di speranza per tutti i pazienti di malattie croniche respiratorie e per le loro famiglie”.
Intervenendo al 44^ Congresso Nazionale AIPO, Serafini ha ricordato che spesso quando si pensa alle cure palliative per malati terminali, si pensa solo ai pazienti con neoplasie: “invece le famiglie ed i pazienti con broncopneumopatia cronica ostruttiva, fibrosi polmonare, patologie neuromuscolari con manifestazioni cliniche respiratorie, sono drammaticamente coinvolte nella gestione del periodo più critico della loro esistenza. Ebbene: oggi questi pazienti hanno la possibilità di non essere più abbandonati ad una serie infinita di ricoveri d’urgenza, devastanti per la persona e per la sua famiglia“.
Ecco il punto di svolta: il paziente con cronicità grave o terminale può iniziare ad affrontare il suo decorso in una situazione che risponde maggiormente alle necessità di dignità e serenità della persona. Gli pneumologi precisano però la tempistica dell’intervento palliativo a domicilio affinché questo possa essere significativo: “non si pensi che le cure palliative siano quelle che giungono nella fase ormai terminale della malattia. Si tratta di cure che per essere efficaci devono iniziare molto presto“.
Precisa la Serafini, “più sono precoci queste cure e più la qualità della vita può rimanere accettabile. Occorre intervenire in pratica quando la persona con una storia di ossigenoterapia e di ripetuti ricoveri, frequenta ancora gli ambulatori”.
Le cure palliative domiciliari così identificate sono dunque “il nuovo paradigma della complessità assistenziale, perché riguardano organizzazione dei servizi, percorso clinico, risposta a bisogni psicologici e gestione di profonde difficoltà sociali”.
Cosa manca affinchè tutto questo diventi realtà? Un Decreto necessita naturalmente di implementazioni precise sul territorio, capaci di adattarsi alle differenti situazioni regionali: cosa deve accadere oggi per rispondere davvero alle necessità dei pazienti e delle famiglie? “Oggi l’urgenza consiste nella creazione di un modello standard di realizzazione delle cure domiciliari. E su tutto questo le società scientifiche, in primis AIPO, hanno la possibilità di contribuire nella creazione di PDTA e di modelli vari di assistenza che dovranno essere poi definiti da Ministero e Regioni”. E se qualcuno inizia ad affermare che per questo nuovo approccio domiciliare alle cure palliative non ci sono i fondi necessari? Antonella Serafini è categorica: “Dobbiamo farcela, senza se e senza ma. Ricordiamo che le cure palliative domiciliari sono un dovere istituzionale e porteranno – non dimentichiamocelo – a un risparmio immenso per il SSN, evitando migliaia di ricoveri inappropriati”.