Le malattie infiammatorie croniche dell’intestino (IBD, inflammatory bowel disease), ossia la Colite Ulcerosa e la Malattia di Crohn, compaiono frequentemente tra i 20 e i 30 anni, impattando in maniera significativa sulla qualita’ di vita dei soggetti affetti. Il 20% di tali patologie esordisce addirittura in eta’ pediatrica, con notevoli ripercussioni non solo a carico del bambino affetto, ma anche a livello familiare. In questa fase giovanile, il soggetto impara che ha una patologia cronica, destinata a perdurare per tutto il corso della sua vita; sara’ obbligato a prendere costantemente medicine, dovra’ sottoporsi regolarmente a controlli e talvolta a interventi chirurgici. Si tratta di patologie caratterizzate dall’imprevedibilita’ della recidiva dei sintomi che mal si adatta a una serena pianificazione dei propri impegni quotidiani familiari, sociali e lavorativi. Un impatto dunque di carattere clinico ma anche psicologico. In italia colpite tra le 200 e le 250mila persone “Attualmente in Italia si stima che siano affette da colite ulcerosa o malattia di Crohn tra le 200 e le 250mila persone; in Europa i dati ufficiali ci dicono che ne soffrono in oltre due milioni – afferma in un comunicato – Marco Daperno, SC Gastroenterologia AO Ordine Mauriziano di Torino e Presidente del Congresso IG-IBD – In passato queste malattie portavano al decesso, con picchi, negli anni ’70, del 30-35%. Oggi il rischio di mortalita’ e’ ridotto all’1-2% circa. Tuttavia le malattie infiammatorie croniche intestinali hanno un notevole impatto sulla quotidianita’ del soggetto affetto: scuola e universita’, attivita’ lavorativa, vita sociale e familiare possono essere colpite a causa di assenteismo, depressione, mancato guadagno, assenza dal lavoro per malattia, difficolta’ nelle relazioni personali, discriminazione”.
Circa il 50% dei pazienti con malattia di Crohn ed il 20% dei pazienti con colite ulcerosa, inoltre, necessitano di intervento chirurgico entro 10 anni dalla diagnosi, che puo’ ulteriormente impattare sulla qualita’ di vita dei pazienti stessi. Esiste, inoltre, una qualche predisposizione familiare nello sviluppo della malattia; infatti, un paziente su cinque ha uno o piu’ parenti stretti affetti da malattia di Crohn o colite ulcerosa. La gestione delle malattie infiammatorie croniche intestinali e’ notevolmente evoluta negli ultimi anni e, in parallelo alle nuove scoperte scientifiche che hanno permesso l’introduzione di nuovi farmaci e di tecniche diagnostiche piu’ accurate, la centralita’ del paziente e’ diventata il punto di partenza per un approccio multidisciplinare di tipo diagnostico, terapeutico e sociale. Pur essendo malattie che partono dall’intestino, infatti, arrivano a colpire le articolazioni, la pelle, gli occhi, il fegato e tanti altri organi che richiedono un approccio specialistico, interdisciplinare, con terapie combinate. L’importanza di una diagnosi tempestiva “La vera sfida di queste malattie e’ legata alla diagnostica – dichiara ancora Daperno – I sintomi principali di colite ulcerosa e malattia di Crohn sono mal di pancia, diarrea, febbricole, eventuale sanguinamento delle feci; tutti elementi che possono comparire in occasione di una semplice sindrome dell’intestino irritabile, mentre il sanguinamento rettale viene spesso precocemente ricondotto a una valutazione endoscopica per i rischi di tumore colon-rettale”. Le difficolta’ e i ritardi sono testimoniati dai 5 anni o piu’ di latenza diagnostica da quando compaiono i primi sintomi a quando si effettua la diagnosi. Le malattie croniche intestinali hanno dunque un impatto sociale notevolissimo. Per fortuna non incidono sull’aspettativa di vita, ma possono influire sulle capacita’ complessive del paziente, che perde giornate di lavoro con il rischio anche di lunghe interruzioni. I costi legati alle malattie croniche intestinali Per la societa’ dunque esistono dei costi, relativi a interventi e ricoveri frequenti dei pazienti, ma anche dei costi assistenziali spesso sottovalutati. Anche il paziente risente degli effetti economici: e’ costretto all’acquisto di integratori e farmaci non mutuabili, oltreche’ a effettuare delle cure anche in altre regioni rispetto a quella di appartenenza. A cio’ si aggiunge la perdita di guadagni per il mancato lavoro. Secondo stime dell’Unione Europea, un paziente costa allo Stato tra i 3 e i 5mila euro l’anno; considerando che in Italia ci sono 150mila pazienti ufficiali (ma verosimilmente 250mila) affetti da queste patologie e’ intuibile quanto siano elevati questi costi, che finiscono per ammontare a circa un miliardo di euro, a cui si aggiungono i costi indiretti, come i servizi assistenziali, che probabilmente raddoppiano questi costi.
(Red/ Dire)