Lo studio sulla genesi delle malattie genetiche negli ultimi anni ha aperto le porte a nuove terapie impensabili fino a qualche decennio fa, quando ipotizzare di trattare una malattia genetica con un farmaco per via orale avrebbe fatto per lo meno sorridere.
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Alcune di queste malattie genetiche presentano alterazioni per cui la sostanza che viene prodotta alterata dall’organismo in realtà può ancora essere utilizzata dall’organismo con l’aiuto di farmaci. Ne è l’esempio lo studio condotto a livello mondiale sulla malattia di Fabry, pubblicato sull’autorevole New England Journal of Medicine, a cui ha partecipato il prof.Claudio Feliciani, docente del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Parma e Direttore della Dermatologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma.
La malattia di Fabry è caratterizzata dall’alterata formazione di un enzima che serve alle cellule per eliminare scorie cellulari. Queste scorie (ceramidi) si accumulano nelle cellule determinando danni irreversibili a carico dei reni, del cuore e del sistema nervoso. La malattia di Fabry è una malattia relativamente rara che colpisce circa 1 persona su 60.000 con esordio lento e subdolo, tanto che spesso la diagnosi viene posta con circa 10 anni di ritardo.
Finora si è riusciti a ricostruire in laboratorio l’enzima, per cui i pazienti vengono infusi in ospedale, dove ricevono una quantità di enzima in endovena utile per due settimane. Lo studio condotto in multicentrica mondiale ha dimostrato che un farmaco orale simile a uno zucchero ha proprietà “chaperoniche”, ovvero, legandosi all’enzima non funzionante, lo riabilita a espletare le proprie funzioni di “spazzino” endocellulare.
Fonte ER Salute