Ogni giorno in Italia si registrano più di 110 nuove diagnosi di tumore del polmone, per un totale di 41.300 nuovi casi stimati all’anno, di cui l’80% è provocato dal fumo. Questo big killer, che da solo provoca nel mondo 1,6 milioni di decessi, più morti di cancro al seno, al colon e alla prostata messi assieme, viene individuato in fase avanzata nel 60% dei casi.
La grande speranza per i pazienti risiede oggi nell’immunoterapia, in quei trattamenti cioè che utilizzano il sistema immunitario dell’organismo per attaccare le cellule tumorali. L’ultima frontiera della lotta ai tumori è stata la grande protagonista del recente Congresso della Società europea di oncologia medica tenutosi a Copenaghen.
Della combinazione di molecole immuno-oncologiche innovative da usare nel trattamento di prima linea per il cancro al polmone si è discusso a Vienna nel corso della 17esima Conferenza mondiale sul tumore del polmone promossa dall’International Association for the Study of Lung Cancer. Nel caso del cancro ai polmoni, l’immunoterapia è particolarmente efficace nella forma più frequente, quella non a piccole cellule. «L’immuno-oncologia – sottolinea il professore Federico Cappuzzo, direttore Oncologia all’Ospedale di Ravenna – ha già evidenziato risultati decisivi in seconda linea nella fase avanzata della malattia. La sfida ora è individuare i pazienti che possono maggiormente beneficiare di questa nuova arma in prima linea, cioè al momento della diagnosi».
Secondo il professore, sono «incoraggianti» i risultati provenienti dallo studio «CheckMate -012» presentato a Vienna sulla combinazione di nivolumab e ipilimumab nel trattamento del tumore non a piccole cellule: «I tassi di risposta obiettiva confermata in tutti i pazienti trattati sono pari al 43%, quasi il doppio rispetto alla percentuale registrata con nivolumab in monoterapia (23%). Per questi pazienti si sta sempre più concretizzando la possibilità di evitare la chemioterapia e aver accesso a farmaci innovativi caratterizzati da una tollerabilità migliore».
La combinazione dei due anticorpi sembra essere la strada anche per la forma a piccole cellule, come ha dimostrato «lo studio “CheckMate-032” che ha valutato nivolumab in monoterapia e in combinazione con ipilimumab in pazienti precedentemente trattati con tumore ai polmoni a piccole cellule» ha spiegato Francesco Grossi dell’Irccs San Martino di Genova.
Le possibilità di guarigione cambiano drasticamente in relazione allo stadio in cui avviene la diagnosi. Complessivamente, la sopravvivenza a 5 anni nella forma non a piccole cellule in stadio I è compresa tra il 47% e il 50%, mentre per lo stadio IV scende al 2%. Nella forma a piccole cellule, tumore che cresce più rapidamente, i tassi di sopravvivenza tendono a essere più bassi (in stadio I sono compresi tra il 20 e il 40%, in stadio IV scendono all’1%). Complessivamente, la percentuale di sopravvivenza a 5 anni delle persone colpite da carcinoma del polmone in Italia è pari al 14,3%, più elevata rispetto alla media europea (13%).
Il principale fattore di rischio di questa neoplasia è rappresentato dal fumo, in crescita tra le donne (il 23% delle italiane è tabagista). Con gravi conseguenze: tra il 1999 e il 2011 l’incidenza del carcinoma del polmone è diminuita del 20,4% tra gli uomini, mentre è aumentata del 34% nelle donne. Inoltre, come ha recentemente dimostrato uno studio del National Cancer Institute americano e apparso su Jama Internal Medicine, fumare fa sempre male, dovesse anche trattarsi di una sola sigaretta al giorno. L’uso del tabacco è responsabile della morte di circa 6 milioni di persone ogni anno a livello globale; a questi si aggiungano oltre 5 milioni di morti derivanti da uso diretto del tabacco e più di 600,000 morti per esposizione a fumo passivo. Il numero totale di decessi correlati al tabacco in Europa è di quasi 700.000 all’anno.
A Vienna si è discusso anche di quei casi, uno su cinque, di carcinoma polmonare non riconducibile al fumo di sigaretta. Nella sua lezione plenaria, «Is smoking a sole factor in lung cancer development?», il professor Harald Zur Hausen dell’Università di Heidelberg e premio Nobel per la medicina nel 2008 per la scoperta del legame tra il papilloma virus e il cancro alla cervice, ha suggerito che questo 20% di casi può essere dovuto anche a infezioni virali, batteriche o fungine.
Tra i dati a supporto di questa ipotesi, il professore ha riportato indagini epidemiologiche che indicano un aumento del rischio di cancro al polmone e tumori orofaringei tra macellai e addetti alla macellazione, persone cioè regolarmente esposte a contaminanti provenienti da animali macellati potenzialmente dannosi per l’organismo umano. Una strada, quella relativa al legame tra infezioni e cancro al polmone, che merita di essere esplorata.
FONTE LA STAMPA