Un reparto all’avanguardia. Protettivo come l’utero materno. Lontano dai rumori, dalla luce eccessiva, dove medici, infermieri e fisioterapista parlano sottovoce, dove persino i «bip» dei monitor – fondamentali – non devono disturbare i neonati. E dove uno speciale materassino tiene questi piccoli – nati troppo presto – in posizione fetale nell’incubatrice, come fossero ancora nel pancione di mamma. La Neonatologia universitaria dell’ospedale Sant’Anna ha ottenuto – prima in Italia – la certificazione Nidcap (Newborn Individualized Developmental Care and Assessment Program) per aver adottato una forma di assistenza personalizzata al neonato prematuro. Al termine di un corso lungo due anni e mezzo guidato dalla dottoressa Karen Smith, del St. Luke Medical Centre di Idaho, negli Stati Uniti, il centro diretto dal professor Claudio Fabris ha laureato la dottoressa Margherita Nicocia, le infermiere pediatriche Immacolata Arenga, Manuela Mosca, Laura Reghin e la fisioterapista pediatrica Patrizia Strola come specialiste in questa tecnica avanzata. «Il cervello del neonato – spiegano il professor Fabris e Patrizia Strola – è un organo critico che influenza e orchestra lo sviluppo. Quand’è immaturo, proteggerlo da un ambiente esterno ostile, allontana il rischio che il bimbo possa poi soffrire di ritardi nello sviluppo psicomotorio». Lo difendono dalla minaccia di stimoli sconosciuti, improvvisi e violenti, con il quale il neonato non è ancora pronto a confrontarsi, e che lo espongono a conseguenze pesantissime: futuri deficit di attenzione, difficoltà di apprendimento in età scolare, alterata percezione degli stimoli e del dolore, fino all’immaturità polmonare.
Una terapia intensiva speciale, dove il rumore non deve essere neppure quello del campanello d’ingresso: per questo motivo, papà e mamme, sono dotati di una chiave magnetica per entrare in reparto a qualunque ora del giorno e della notte, e stare così accanto ai propri figli che spesso trascorrono in ospedale anche più di un mese. E’ scientificamente dimostrato: «Modificare l’ambiente e l’assistenza al neonato – spiega l’équipe di Fabris – essere più attenti ai suoi comportamenti e alle sue risposte, migliora lo sviluppo neurologico». Riduce lo stress, la percezione del dolore, e diminuisce di conseguenza il bisogno di assistenza ventilatoria, abbassa la probabilità di emorragie cerebrali, accorcia la degenza, migliora la risposta neurologica a distanza, fino a portare all’inizio più precoce dell’alimentazione spontanea. «Crescono – in altre parole – le probabilità di sopravvivenza, in particolare dei più piccoli, nati fra le 23 e le 32 settimane di gestazione». Ogni anno, nella sola clinica universitaria del Sant’Anna, vengono aiutati a sopravvivere, nel reparto-utero, circa 120 prematuri. Al corso diretto della professoressa Smith hanno partecipato anche neonatologi di Firenze, Genova e Milano. «Curare e prendersi cura», è l’approccio. La tecnologia non basta. Tutti sono coinvolti, in reparto. Compresi mamma e papà, che dal primo giorno aiutano medici e infermieri a far vivere un bimbo così piccolo che sta tutto in una mano.
Fonte: La Stampa