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Sei ospedali da campo nelle zone del sisma: “Così gestiamo i traumi peggiori”

Sei ospedali da campo nelle zone del sisma: “Così gestiamo i traumi peggiori”

Sei ospedali da campo nelle zone del sisma: “Così gestiamo i traumi peggiori”
| giovedì 25 Agosto 2016

Va benissimo affollare i centri trasfusionali per donare il sangue, perché con un gesto così semplice si possono salvare fino a tre vite. «Adesso, però, la priorità è un’altra. Occorre tenere liberi i pronto soccorso, senza raggiungerli se non nei casi in cui non c’è alternativa», afferma Maria Pia Ruggieri, responsabile del pronto soccorso dell’azienda ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma e presidente della Società Italiana di Medicina di Emergenza e Urgenza (Simeu).
Per telefono prima e di persona poi, da ieri sta coordinando l’afflusso dei pazienti che continuano a raggiungere gli ospedali della Capitale.

SOCCORSI A VARI LIVELLI
La macchina dei soccorsi s’è messa in moto fin da subito, come accaduto anche in occasione del recente incidente ferroviario di Corato . A regolarne il funzionamento, senza sosta, è Livio De Angelis, direttore della centrale operativa del 118 di Roma città metropolitana. «Nelle zone colpite dal terremoto ci sono sei ospedali da campo che fanno una prima selezione dei feriti: i meno gravi vengono inviati alle strutture locali, mentre i casi più complessi raggiungono Roma con le eliambulanze – racconta per telefono a La Stampa, in uno dei pochi momenti di tregua -. In queste situazioni i politrauma rappresentano la principale causa d’accesso al pronto soccorso e spesso richiedono l’ingresso d’urgenza in sala operatoria. Fratture, contusioni e traumi cranici sono le condizioni più spesso riscontrate in seguito a un terremoto».

Ma a seguito di un disastro naturale c’è anche una quota residua di pazienti (non più del due per cento) che necessita di essere soccorsa per l’aggravarsi di condizioni croniche. È il caso dei cardiopatici, in queste fasi più esposti al rischio di subire un infarto. O dei dializzati, che in situazioni del genere possono non essere in grado di raggiungere il presidio in cui effettuano la terapia.

NON RECARSI NEI PRONTO SOCCORSO PER MALESSERI PSICOLOGICI
Per questo motivo gli esperti raccomandano di recarsi spontaneamente in pronto soccorso soltanto se necessario. «Infarti, ictus e incidenti stradali non lasciano scampo a seguito di un terremoto», puntualizza Ruggieri.

Eppure in situazioni di emergenza come quella che da ieri si sta vivendo tra il Lazio, l’Umbria e le Marche sette nuovi accessi su dieci sono dovuti a sindromi da stress psicologico: crisi d’ansia, attacchi di panico, disturbo dell’adattamento con umore depresso. In questi casi, come se si è vittime di forme influenzali o dolori transitori, è consigliabile non recarsi in pronto soccorso. Più facile a dirsi che a farsi, però, perché «la persona che viene colpita da un attacco di panico fatica a riconoscerlo e non ha la lucidità per capire che non gli sta succedendo nulla di grave», rammenta De Angelis. È allora possibile assumere ansiolitici per controllare lo stato di preoccupazione? «Chi segue già una simile terapia, sa come gestire il farmaco e può decidere di assumerlo anche spontaneamente – chiosa Ruggieri -. L’autoprescrizione, però, non è mai da consigliare. Motivo per cui chi non ha mai preso degli ansiolitici deve interpellare il proprio medico».

COME PROTEGGERSI DA EVENTUALI NUOVE SCOSSE
Chi è sopravvissuto al terremoto, non può escludere che nelle prossime ore sopraggiunga un’altra forte scossa. Per questo gli esperti raccomandano di «mantenersi il più possibile negli spazi aperti, lontano dalle costruzioni. Se proprio si deve rimanere in casa, il consiglio è quello di trovare riparo a ridosso delle colonne portanti. E, in caso di nuove scosse, non prendere mai per l’ascensore. Il palazzo deve essere abbandonato sempre utilizzando le scale, anche se si parte da piani alti».

Fonte La Stampa

Foto in copertina: twitter/@crocerossa

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