L’esperienza che sto facendo nasce dalla volontà di crescita professionale. Trovo che lavorare in diversi contesti, da clinici (reparti) a Paesi esteri, aumenti la crescita professionale: apprendendo nuovi modelli si possono migliorare le criticità potendo applicare sistemi organizzativi non conosciuti.
Intervista a Marco Parolin, infermiere friulano di 24 anni, emigrato in terra inglese dal gennaio 2015. Laurea in Infermieristica nel 2014 presso la sede distaccata di Portogruaro dell’Università degli Studi di Padova.
Perché hai deciso di emigrare?
Verso la metà del terzo anno accademico mi sono informato sulle possibilità lavorative nel mondo del SSN e presa la consapevolezza della quasi impossibilità di trovare un impiego dovuto al blocco del turnover del personale e alla presenza di concorsi con un rapporto domanda/posti da ‘’lotteria’’ ho cominciato a guardare ad altri Paesi.
Ho così cominciato a studiare inglese e nell’ottobre 2014 ho passato un colloquio di lavoro organizzato dal Royal Preston Hospital presso la sede IPASVI di Mestre. Personalmente la più grossa motivazione che mi ha spinto a fare questo passo non è tanto la non possibilità di trovare un impiego in Italia (tra case di riposo e cooperative c’è comunque la possibilità di lavorare anche se reputo con contratti da denuncia) ma più quello di indirizzare il mio sviluppo professionale verso la strada che voglio il prima possibile; infatti dopo 6 mesi ho passato un colloquio ottenendo un posto in una Terapia Intensiva di terzo livello. Trovo che al momento in Italia non sia solo difficile trovare un serio impiego, ancor più difficile è lavorare dove si voglia. Con questo intendo che poiché ritengo la componente motivazionale fondamentale nella nostra professione ad oggi il mondo lavorativo italiano non consente di scegliere il settore in cui lavorare: puoi vincere il ‘’concorsone’’ ma poi ti mettono dove c’è più bisogno e puoi aspettare anni prima di spostarti. Questo può creare insoddisfazioni personali, non abbiamo tutti le stesse caratteristiche e rendiamo il meglio dove abbiamo passione.
Come è stato l’inizio?
Sarò onesto: non avendo mai lavorato come Infermiere nella realtà italiana, solo come studente, mi sono inserito nel contesto inglese senza modelli lavorativi predefiniti, questo forse mi ha attutito l’impatto dalla mole di ‘’paper work’’ e con lo stile lavorativo molto da protocollo che sentendo in giro sono gli aspetti più difficili da metabolizzare. Il rispetto ricevuto per essere Infermiere mi ha aiutato nell’affrontare la vita da solo in un Paese così diverso dal mio. Ho lavorato in Stroke Unit per sei mesi dopodiché, come già detto, sono passato in Terapia Intensiva che era l’obiettivo che mi ero posto dagli inizi.
Come è organizzato il tuo lavoro? Cosa ti ha sorpreso?
Essendo Staff Nurse band 5, corrispondente al nostro Infermiere, sono responsabile dell’assistenza infermieristica a 360 gradi. Al centro della cura è il paziente e per ottenere questo obiettivo si lavora a stretto contatto con altre figure professionali, dall’Health Care Assistant (HCA, il corrispondete del nostro OSS) al Fisioterapista. L’aspetto che ancora mi stupisce è l’approccio multidisciplinare: per farvi un esempio in Terapia Intensiva posso chiedere al Dietista di rivedere il paziente se personalmente valuto che ne abbia bisogno (alterazioni nello stato del paziente o alterazione elettrolitiche per esempio) o al Fisioterapista di fare fisioterapia toracica. Nel lavoro vengo sempre coinvolto nel processo di cura del paziente poiché viene riconosciuta la professionalità dell’Infermiere. Uno delle differenze maggiori tra il sistema italiano e quello inglese è che in quest’ultimo per svolgere interventi invasivi come incannulare una vena devi fare un assessment, vengono viste come competenze specialistiche. I prelievi di sangue possono essere fatti anche dagli HCA se hanno fatto il corso e passato l’assessment, questo esempio per farvi notare come le singole competenze non siano viste come invasione di campo dalle diverse figure (quante ne leggo!!), come non lo è la possibilità di prescrivere farmaci da parte dell’Infermiere formato (Nurse Prescriber) per la classe medica. A questo proposito nella mia ancora breve esperienza lavorativa mi è capitato di somministrare farmaci in autonomia quali glucagone ed adrenalina (per shock anafilattico) più boli di fluido: questo perché ho fatto un corso con certificazione finale e le situazioni elencate richiedevano un intervento immediato. Per citare il caso del 118 emiliano, nessun medico mi ha contestato (ed ero in ospedale e non nel territorio!) quando invece mi hanno solo ringraziato. Voglio quindi sottolineare come in Inghilterra le competenze non si acquisiscano per ‘’diritto di professione’’ ma a seguito di corsi con certificazioni. Ogni ospedale inglese utilizza le stesse chart: in particolare vorrei sottolineare l’uso dell’Early Warning Score, oggetto di studio nella mia tesi di laurea. Per finire la domanda un altro aspetto diverso che riscontro qui è la possibilità di richiedere e fare esami emato-chimici in autonomia.
Quali competenze può assumere l’Infermiere?
L’infermiere da contratto nazionale viene inserito come band 5 all’inizio a cui spettano compiti e stipendi ben definiti (lo stipendio aumenta automaticamente ogni anno per 10 anni). Compito del Nurse band 5 è come detto l’assistenza infermieristica. Il percorso universitario è diverso da quello italiano, vengono investite risorse nello sviluppo clinico/relazionale più che quello procedurale: da qui nasce la naturalezza nell’intraprendere percorsi post-laurea e corsi che aumentino le competenze. La possibilità di crescita professionale in verticale è possibile e stimolata. La possibilità di specializzazione è notevole, attuabile tramite Master finanziati dall’ospedale. A seconda del tipo di specializzazione e competenze acquisite in ambito clinico nella maggior parte dei casi si può essere configurati come band 6, band 7 e addirittura band 8 (se curiosi nel vedere le caratteristiche di questi band vi invito a cercare su Internet). Con questo aumentano gli stipendi e le responsabilità. L’organigramma è chiaro, la crescita nel band corrisponde anche a ruoli di supervisione per i livelli inferiori. Lo sviluppo professionale è anche possibile in ambito organizzativo ed amministrativo. Ogni area (medica, chirurgica, terapia intensiva, pronto soccorso ecc) presenta dei propri Clinical Educators, Infermieri specializzati e con esperienza che curano la crescita professionale degli Infermieri. Come accennato prima vi è la possibilità di prescrivere farmaci in autonomia da parte di Infermieri con apposita formazione. Esistono le consulenze infermieristiche.
Come giudichi l’emigrazione infermieristica?
Come detto prima l’esperienza che sto facendo nasce dalla volontà di crescita professionale. Trovo che lavorare in diversi contesti, da clinici (reparti) a Paesi esteri, aumenti la crescita professionale: apprendendo nuovi modelli si possono migliorare le criticità potendo applicare sistemi organizzativi non conosciuti. Viviamo in Europa dove la libera circolazione è permessa: dovremmo sfruttarla per migliorare (la sanità in questo caso, ma non solo) dando al professionista la possibilità di partire ma anche, e soprattutto, di ritornare. L’NHS non è perfetto, dopotutto quale sistema sanitario lo è, ma consente ad ogni professionista di trovare la sua strada. Ad oggi ho un po’ di progetti per il futuro, uno di essi è che qualora tornassi in Italia mi piacerebbe utilizzare quanto visto ed appreso in Inghilterra.
Pensieri finali?
Accendendo la televisione in UK si ha buona probabilità di sentire notizie riguardo l’NHS (il sistema sanitario pubblico inglese) vero orgoglio degli inglesi, oggetto di riflessioni ed azioni politiche. Non viene nominato solo a seguito di tagli o malasanità ma anche per la riforma di particolari servizi volti a migliorare la salute pubblica. Questo accade in Italia? Possibile continuare ad utilizzare una mentalità da inizio ‘900 dove all’Infermiere non vengono riconosciute le dovute peculiarità? Il nostro Paese, come tutto il mondo sviluppato, sta assistendo ad un aumento della vita media con dunque la presenza di comorbilità il che in termini economici significa una grossa spesa statale. Ci troviamo in un momento storico dove dobbiamo attuare scelte che riguardano il benessere della nostra nazione e quella delle prossime generazioni. Possibile non investire sull’Infermiere? Attività di educazione e prevenzione sono la chiave per contrastare le difficoltà che la nostra società sta affrontando. Il paziente diventa sempre più informato ed esigente, inoltre la medicina sta facendo progressi incredibili: il Medico si specializza perché l’Infermiere no? Ritengo che il miglior livello di cura possa essere raggiunto solo ed attraverso l’approccio multidisciplinare.
Parlando riguardo fatti recenti: – possibile non uniformare l’emergenza extra-territoriale dando competenze agli Infermieri? Un codice giallo trattato da un laico non fa notizia, l’Infermiere che usa competenze avanzate si? Mi pare un grosso problema che andrebbe valutato; – possibile non dare la possibilità di prescrivere ausili o presidi? – possibile che la nostra categoria venga discussa in salotti televisivi da gente che in materia è ignorante? -possibile permettere l’esistenza di tutti quei tipi di contratto che giocano al ribasso? Avrei molte cose da dire, forse troppe per un solo articolo e non voglio essere noioso. Voglio concludere con la speranza che la nostra categoria, così divisa nei pensieri interni ma così unità nel destino, si unisca e lotti per il giusto riconoscimento professionale e contrattuale che merita, non solo per noi stessi ma per garantire un livello di cure di eccellenza universale a tutti.
#noisiamopronti
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