Le cellule staminali potrebbero rappresentare una valida alternativa alla chirurgia per i malati di Crohn affetti da fistole perianali refrattarie a trattamenti medici. Lo evidenzia uno studio internazionale al quale ha partecipato il prof. Silvio Danese, responsabile del Centro per malattie infiammatorie croniche intestinali di Humanitas e docente di Humanitas University.
Quali aspetti ha messo in evidenza lo studio del prof. Danese?
Secondo i dati dello studio pubblicato nel mese di luglio su “The Lancet”, di cui il prof. Danese è senior author, per i malati di Crohn affetti da fistole perianali refrattarie a ogni trattamento medico, le cellule mesenchimali da tessuto adiposo rappresentano una valida ed efficace opzione terapeutica rispetto alla chirurgia, ai trattamenti con immunosoppressori sistemici, agli antibiotici o agli inibitori del fattore di necrosi tumorale.
Quali sono i risultati dello studio?
Lo studio, che ha visto il coinvolgimento di 49 ospedali (Europa, Canada, USA, Israele), ha comportato l’arruolamento di 212 malati di Crohn con fistole perianali.
I pazienti sono stati suddivisi in due gruppi, il primo (107 pazienti) trattato con cellule mesenchimali da tessuto adiposo (Cx601), il secondo (105 pazienti) trattato con placebo, in cui rispettivamente il 45% e il 31% presentavano più di una fistola perianale. A 24 settimane dall’iniezione di 120milioni di cellule Cx601, nel 50% dei pazienti del primo gruppo, rispetto al 34% del secondo, le fistole erano completamente cicatrizzate e il trattamento risultava ben tollerato dai pazienti.
Cosa sono le fistole perianali?
La malattia di Crohn è un’infiammazione cronica dell’intestino che colpisce prevalentemente giovani adulti tra i 20-25 anni, con una quasi totale prevalenza (0,3%) nei paesi occidentali. In questi malati le fistole perianali, cioè anormali aperture tra intestino e cute vicino all’ano, sono una delle più comuni complicanze per circa un terzo dei malati e spesso sono molto difficili da trattare.
Causate dall’infiammazione dell’epitelio, cioè il tessuto di rivestimento della parete dell’intestino, nel 70-80% dei casi, infatti, le fistole perianali non rispondono ai trattamenti. Anche l’uso di cellule staminali emopoietiche, usate in alcune forme di leucemia, che si pensava potessero “resettare” il sistema immunitario e quindi interrompere il processo infiammatorio cronico alla base delle fistole perianali e della malattia intestinale, non si è dimostrato promettente. “Con questo studio abbiamo invece dimostrato che, nonostante vi sia un buon grado di risposta clinica in alcuni pazienti, i rischi della procedura con cellule staminali emopoietiche possono sovrastare i possibili benefici – spiega il professor Silvio Danese, responsabile del Centro per le malattie infiammatore intestinali di Humanitas e docente di Humanitas University. – Più promettente sembra invece l’uso delle cellule mesenchimali da tessuto adiposo, già da molti anni oggetto di interesse da parte dei ricercatori perché, oltre alla loro capacità di generare nuove linee di cellule di grasso, osso e cartilagine, rilasciano intorno a sé sostanze che sembrano capaci di modulare l’attività del sistema immunitario e quindi dell’infiammazione.”
Trattamento con cellule mesenchimali
In presenza di fistole perianali, “è importante la bonifica locale effettuata dal chirurgo per rimuovere i focolai di infezione, ma poi il trattamento con i farmaci attualmente a disposizione risolve il disturbo solo in un terzo dei pazienti”, precisa il professor Antonino Spinelli, responsabile della Sezione di chirurgia del Colon e del retto di Humanitas e docente di Humanitas University. “Il trattamento topico con staminali mesenchimali ha invece permesso di ottenere un beneficio che si è prolungato per un anno più che con il placebo”. Ma la ricerca di Humanitas in questo campo non si ferma: “In modelli sperimentali abbiamo dimostrato che iniettando queste cellule in alcune tasche di biomateriali è possibile ridurre l’infiammazione tramite la produzione di mediatori solubili, tra cui è stato identificato TSG6” conclude Stefania Vetrano, ricercatrice di Humanitas che ha recentemente pubblicato questi risultati su Gastroenterology.
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