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La demenza colpisce meno gli anziani, ma i casi sono in aumento

La demenza colpisce meno gli anziani, ma i casi sono in aumento

La demenza colpisce meno gli anziani, ma i casi sono in aumento
| giovedì 24 Novembre 2016

Sempre meno anziani si ammalano di demenza. La notizia è alquanto positiva e potrebbe sorprendere se si pensa al notevole incremento dei fattori di rischio vascolare per questa malattia neurodegenerativa come il diabete, l’ipertensione e l’obesità. Ma la conferma viene da uno studio americano apparso su JAMA Internal Medicine dal quale emerge anche che ad essere meno a rischio sono le persone con un buon livello di istruzione. E questo dato aiuterebbe a spiegare la tendenza generale alla diminuzione dell’incidenza tra gli anziani, dal momento che chi sta entrando oggi nella terza e quarta età ha almeno un diploma, insomma un livello di istruzione maggiore rispetto ai coetanei di un decennio fa.

«Sembra che gli investimenti effettuati in questo paese (gli Stati Uniti) nell’istruzione dopo la Seconda Guerra Mondiale stiano dando i loro risultati in termini di una miglior salute del cervello tra gli adulti più anziani» ha spiegato uno degli autori, il professor David Weir dell’Università del Michigan e direttore dello studio Health and Retirement Study. «Ma il numero di anziani sta crescendo così rapidamente che l’onere complessivo della demenza sta ancora aumentando». In altre parole, nonostante la diminuzione dell’incidenza delle demenze , le malattie neurodegenerative sono comunque in continua e costante crescita a causa dell’invecchiamento della popolazione. Secondo l’Oms, il numero di malati potrebbe arrivare entro il 2050 a 135 milioni.

Tuttavia, secondo gli autori dello studio, c’è un «crescente numero di evidenze che questo declino del rischio di demenza è un fenomeno reale e che la crescita del peso delle demenze potrebbe in termini assoluti non essere così ampia come già stimato». I ricercatori hanno analizzato i dati e i risultati dei test cognitivi di oltre 21mila persone over 65 già reclutate nello studio Health and Retirement Study per valutare la tendenza del fenomeno nell’arco di dodici anni. Nel 2000, l’11% degli intervistati rientrava nei criteri diagnostici della demenza, nel 2012 era solo l’8,8% del totale. Nel periodo di tempo considerato, inoltre, il numero di anni scolastici era aumentato in media di 12 mesi, passando da 12 anni a 13 anni di istruzione.

Le attuali evidenti disparità nell’accesso all’educazione, ipotizzano gli scienziati, potrebbero avere delle conseguenze sulla salute del cervello e quindi sulla capacità di lavorare ed essere autonomi man mano che gli anni avanzano. Inoltre, non solamente il numero di anni trascorsi sui banchi di scuola conta, ma anche il poter accedere a lavori stimolanti, che accresce quella che i neuroscienzati chiamano “riserva cognitiva”, scudo protettivo in grado di fronteggiare (ed eventualmente ritardare) la comparsa delle malattie neurodegenerative.

«Un cambiamento nelle previsioni generali sulla demenza può avere un notevole impatto economico – ha commentato il responsabile dello studio, Kenneth Langa della Medical School dell’Università del Michigan – Ma non fa nulla per ridurre l’impatto che ogni singolo caso ha sui pazienti e sugli operatori sanitari. Questo sarà ancora a lungo un problema prioritario per le famiglie e per la politica sanitaria, ora e nei decenni a venire».

FONTE LA STAMPA

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