Circa 20 mila minori in Italia hanno un genitore con Parkinson: spesso bambini in eta’ scolare, che improvvisamente vedono le loro vite stravolte da una malattia neurodegenerativa che trasforma, giorno dopo giorno, il proprio papa’ o la propria mamma, stravolgendo gli equilibri e le abitudini familiari.
E’ una stima statistica calcolata dalla fondazione Parkinson Italia e oggetto della recente campagna “Anche io ho il Parkinson”: una frase pronunciata da una bambina, per indicare quanto sia sottovalutato l’impatto sociale di questa malattia, che in Italia colpisce circa 150 mila persone.
Una su cinque, prima dei 50 anni di eta’. Una su 10 addirittura prima dei 40: padri e madri, in molti casi. Con figli ancora piccoli, quindi “stiamo parlando di famiglie dove sono presenti figli in eta’ scolare, famiglie che hanno gia’, spesso, anche anziani a carico, che a loro volta hanno necessita’ di assistenza”, specifica Antonino Marra, presidente pro tempore di Parkinson Italia onlus. Di questa complicata realta’ ci parla Valeria Pecora, sarda, che ad appena 7 anni ha visto nella mamma, ancora molto giovane anche lei, i primi sintomi della malattia. E che a questa cruciale esperienza ha dedicato recentemente il suo libro “Le cose migliori”, edito da “Lettere animate”.
La tua mamma ha manifestato la malattia quando tu avevi 7 anni. Come ricordi quel momento? “Me la ricordo fisica, palpabile la malattia: mani tremanti, passi incerti e sbadati. Mia madre stava male gia’ da qualche tempo ed erano cominciati i pellegrinaggi negli studi medici ma il suo malessere galoppava nel suo corpo ancora senza identita’ e senza nome. Negli anni Ottanta questa malattia era ancora poco conosciuta e difficilmente diagnosticabile. Eravamo insieme io e lei, quel mattino soffocante e afoso dell’estate del 1990. Eravamo uscite a fare una passeggiata. Io, presa dalla fretta di arrivare al bar e comprarmi un gelato, lasciai la sua mano e corsi veloce, non vidi un masso e inciampai. Battei la testa e per qualche minuto rimasi intontita, semisvenuta. Eravamo sole in quel punto della strada, io e mia madre. Nessuno a soccorrerci e mi ricordo che la mia caduta coincise con il suo primo blocco. Non poteva muoversi, sembrava paralizzata. Urlava e cercava di strattonare le sue gambe pur di venirmi a salvare ma niente. Restava li’, immobile, sequestrata dalle avvisaglie della malattia. Per fortuna mi rialzai, arrivarono delle persone a darci una mano, mia madre riprese dopo un po’ a camminare e a me resto’ solo un bernoccolo in testa. Ai miei occhi di bambina quello che e’ stato atroce accettare e’ che lei, mia madre da quel giorno sarebbe cambiata e io con lei”.
In che modo il Parkinson, da allora ad oggi, ha cambiato la tua vita? E come la influenza oggi? “Il Parkinson fa parte della mia vita, e’ diventato parte integrante delle mie scelte e dei miei giorni. Ha stravolto necessita’, imposto ritmi e abitudini. Il Parkinson e’ un tiranno con il quale ho dovuto combattere a lungo per cercare di avere una vita il piu’ normale possibile. Io oggi ho 34 anni, appena compiuti. Mia madre vive ancora con noi e quest’anno abbiamo festeggiato le nozze d’argento con “Mister Parkinson”. Dedico diverse ore ad assisterla, ci diamo il cambio con le mie sorelle e con mio padre. L’assistenza deve essere continua, perche’ mia madre e’ arrivata allo stadio piu’ grave e invalidante della malattia e ha bisogno di aiuto per espletare qualsiasi funzione vitale”.
Quale credi sia il principale problema dei bambini con “genitori Parkinson”? “Il problema e’ che questa malattia richiede molte attenzioni e cure: questo puo’ tradursi in un senso di grande responsabilita’ che schiaccia i figli,. E poi questi bambini si trovano ad affrontare momenti dolorosi che avrebbero dovuto conoscere molto piu’. I figli di genitori con il Parkinson crescono molto prima del tempo, diventano forzatamente grandi, imparano a badare a loro stessi. I genitori con Parkinson svolgono le faccende domestiche o si prendono cura dei figli con piu’ fatica, con piu’ lentezza: ma questo ostacolo si puo’ superare se si ha il coraggio di rompere i tabu’ e di condividere in famiglia il dolore e la malattia”.
Perche’ questo libro? Che senso ha per te? E cosa ti sta portando? “”Le cose migliori” e’ nato perche’ volevo far pace con mister Parkinson. Non diventeremo amici, mai! Lottero’ sempre contro di lui, ma scrivere questo libro mi e’ servito a far uscire la rabbia, il dolore, a non sentirmi piu’ sola. E mi ha portato straordinari miracoli. Da questo libro sono scaturite nuove amicizie, interviste, articoli, presentazioni, un invito alla facolta’ di Psicologia di Cagliari per parlare agli studenti di tabu’ e malattia. Da questo libro sono nate collaborazioni con associazioni che si occupano di lotta contro questa malattia (Sostieni Parkinson e Associazione Parkinson Milano). Collaboro anche con Villagecare.it , una piattaforma online che gratuitamente fornisce consigli e aiuto ai familiari del malato. Soprattutto, il mio libro mi ha permesso di conoscere altre storie, altri dolori, altri figli e figlie come me, altre mamme e papa’ con il Parkinson e ha riempito la mi fame perenne di amore, il mio bisogno di essere sostenuta, ascoltata e capita”.
Oggi, in occasione della Giornata mondiale del Parkinson, Valeria ha scritto una “lettera a mister Parkinson”. Eccola: “Volevo dirti che dovrei odiarti per tutto quello che hai causato. Per quel tremore continuo, per quelle mani sempre chiuse, per quella postura ingobbita. Ti dovrei odiare per quelle gabbie di cemento, per quegli sguardi grumosi, per un mondo che da colori si e’ sfasciato di bianco e di nero. Volevo dirti che ti odio per tutto quello che hai portato nella nostra vita e nella nostra famiglia. Ti odio Mister Parkinson. Mi hai costretta ad essere forte quando forte non lo sono mai stata. Mi hai obbligata a guardare il mondo da seduta e a capire che stare seduti a volte, e’ una buona posizione da cui guardare il mondo.
Volevo dirti che mi sento tua figlia purtroppo, perche’ del corpo di mia madre hai preso possesso e insieme a te abbiamo impastato la nostra vita. Volevo dirti pero’ che noi figli di Parkinson, noi figli di un dio minore abbiamo imparato tanto da te; anche se ti odiamo. Abbiamo scoperto che siamo forti anche quando non ci sentiamo cosi’. Abbiamo urlato al mondo che vogliamo essere normali come i figli degli altri, i figli di un Dio migliore. Abbiamo capito che possiamo essere felici come gli altri. Abbiamo imparato che questa malattia e’ bruttissima ma che dal dolore fioriscono le uniche cure possibili: l’amore e la speranza. E voglio dirti infine che nonostante tutto, tu, l’amore e la speranza non riuscirai mai a togliermele. Fino all’ultimo attimo della mia vita io ti combattero’, pur di vivere, pur di essere felice. Che la battaglia continui, mister Parkinson. Fino alla fine”. Firmato Famiglia Schirru – Pecora in Parkinson (dal 1990 ad oggi).
Fonte: DIRE