È una malattia tipica dell’età avanzata, ma rispetto al passato l’incidenza (nuove diagnosi) è in calo. Le stime degli specialisti lasciano supporre che l’anno in corso si concluderà con tredicimila diagnosi di tumore dello stomaco. Un dato che conferma la flessione rispetto al passato in entrambi i sessi: rispettivamente del 2,8 e del 3,6 per cento negli uomini e nelle donne.
Diverse le ragioni alla base di questo trend: dall’introduzione dei frigoriferi, che a partire dagli Anni 30 del secolo scorso hanno drasticamente ridotto le contaminazioni batteriche delle carni alla base della sintesi delle nitrosammine, elementi cancerogeni alle innovazioni nella terapia farmacologica e chirurgica.
LA SCELTA DELL’OSPEDALE IN CUI OPERARSI FA LA DIFFERENZA
L’occasione per fare il punto sulla malattia è giunta da un convegno («Tumore gastrico: una sfida da vincere insieme») organizzato a Roma dall’associazione di pazienti «Vivere senza stomaco si può».
Due i temi più sentiti: l’abbandono terapeutico e le difficoltà nutrizionali che si incontrano dopo la rimozione chirurgica (quasi sempre totale) dello stomaco. È toccato a Claudia Santangelo, presidente dell’organizzazione, ragionare sul primo aspetto. «Attraverso la nostra attività, notiamo che c’è un fronte crescente di pazienti che risulta attratto da approcci di cura alternativi a quelli convenzionali – ha spiegato la donna, operata nel 2008 -. Ma il tumore allo stomaco non offre molte chance di sopravvivenza, se non curato in maniera adeguata. Ecco perché, oltre a ribadire l’importanza della diagnosi precoce, è importante sapere che, una volta scoperta la malattia, occorre rivolgersi a centri di eccellenza, con un volume significativo di interventi per il trattamento di questa malattia».
CHEMIOTERAPIA: DIVERSE OPPORTUNITÀ A DISPOSIZIONE
Nel percorso di cura del tumore allo stomaco, la chemioterapia può precedere l’intervento chirurgico (neoadiuvante) o essere somministrata dopo l’intervento chirurgico (adiuvante). Nel primo caso viene praticata in presenza di tumori localmente avanzati per cercare di ridurne l’invasività e la diffusione, migliorando quindi le possibilità di asportazione chirurgica radicale, e per ridurre il rischi di recidiva post-operatoria. Nel secondo caso viene effettuata in presenza di tumori localmente avanzati per consolidare l’effetto della chirurgia e ridurre il rischio della recidiva. Esistono anche protocolli a scopo palliativo, messi in atto quando la malattia è in stato avanzato, non operabile o con metastasi a distanza. In questo caso l’obiettivo non è la guarigione, ma il controllo della malattia.
CHE COSA MANGIARE
Uno dei problemi più rilevanti che segnalano i pazienti operati per la rimozione di un tumore allo stomaco concerne la dieta. Come segnalato da Santangelo, «in molte strutture manca la figura del nutrizionista esperto delle problematiche dei gastrectomizzati».
Un aspetto tutt’altro che da trascurare, perché «il paziente a cui è stato asportato lo stomaco deve imparare di nuovo ad alimentarsi e fare attenzione a non entrare in uno stato di malnutrizione – aggiunge Paolo Delrio, direttore della struttura complessa di chirurgia oncologica addominale dell’Istituto Nazionale dei Tumori Pascale di Napoli e presidente della Società Italiana di Chirurgia Oncologica -.
L’alimentazione corretta è un cardine della sopravvivenza purtroppo ancora sottovalutato e poco riconosciuto. Il paziente malnutrito ha problemi di malassorbimento, carenze, disturbi metabolici, minore resistenza alle infezioni e peggiore dimensione sociale. Si tratta di un problema che interessa più del 60 per cento dei pazienti con tumore allo stomaco. La quasi totalità di essi è malnutrita al momento della diagnosi».
Subito dopo l’intervento, quando si riprende a mangiare prima alimenti liquidi (nelle ventiquattro ore successive) poi morbidi (per un paio di settimane), molti pazienti segnalano la «sindrome da stomaco piccolo»: con un volume gastrico ridotto, la sazietà è precoce e può essere accompagnata dal dolore addominale subito dopo i pasti. Da qui il consiglio di seguire una dieta strutturata secondo pasti piccoli ma frequenti, considerando la colazione come quello principale.
I NUMERI DELLA MALATTIA
Oggi sono poco più di centodiecimila gli italiani che convivono con un carcinoma gastrico. Uno su tre risulta vivo a cinque anni dalla diagnosi. Un dato che, come spiegato da Carlo Barone, direttore dell’unità operativa complessa di oncologia medica del policlinico Gemelli di Roma, «è più elevato rispetto alla media europea, che si attesta attorno al venticinque per cento».
Il merito, oltre che dei progressi registrati sopratutto nell’approccio chirurgico, è anche della dieta mediterranea. Vero è che sovrappeso e obesità oggi sono un problema anche in Italia, ma il consumo di salumi e di alimenti sotto sale è comunque inferiore rispetto a quelli del resto d’Europa. Altri fattori di rischio per la malattia sono il fumo, la presenza di gravi episodi di gastrite, l’infezione da helicobacter pylori.
FONTE LA STAMPA