Il 26, 27, 28 Novembre 2015, nella splendida cornice del Palazzo dell’Archiginnasio di Bologna, si è svolto il “First Bellaria Neurovascolar Conference New concepts in cerebrovascular distasse”.
Nell’arco delle tre giornate, 150 tra neurochirurghi, neuroradiologi e neurointensivisti provenienti da tutto il mondo hanno fatto il punto sugli sviluppi futuri nei trattamenti della emorragia subaracnoidea aneurismatica, degli aneurismi intracranici intatti, delle malformazioni arterovenose cerebrali e spinali, delle fistole artero-venose durali e della rivascolarizzazione cerebrale
All’interno del Congresso è stata svolta una sessione infermieristica dal titolo “Il percorso assistenziale nei pazienti con patologia cerebrovascolare”, all’interno della quale sono state svolte diverse relazioni a testimonianza della necessità di un approccio multidisciplinare nella presa in carico del paziente con emorragia subaracnoidea.
Di seguito proponiamo la relazione svolta dalla dr.ssa Lorenza Zullo: “Il Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale del paziente affetto da emorragia subaracnoidea”.
Il Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale come opportunità
Nel progettare questo evento, ci siamo immediatamente resi conto che le nostre motivazioni coincidevano con alcuni degli obiettivi dell’Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna (IRCCS) di cui facciamo parte: la crescita professionale e integrazione culturale, lo sviluppo di collaborazione e scambio di conoscenze, l’estensione dell’attività in rete al fine di creare sinergia tra Centri e Territorio.
Questa sessione si è trasformata in un’opportunità per conoscere colleghi di altre UUAA di Neurochirurgia, Terapia Intensiva, Servizio Infermieristico Domiciliare dell’Emilia Romagna, di Roma, Milano, Padova, Verona e Rochester (USA).
Lo scopo: iniziare una collaborazione tra noi, per condividere percorsi, criticità, punti di forza e di debolezza, strategie, modelli organizzativi sia in setting ospedaliero che territoriale.
Oggi tutti quanti parliamo di organizzazione per Intensità di Cure, di Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali, continuità ospedale-territorio. Alcuni stanno già sperimentando questi nuovi modelli organizzativi. Allora perché non mettere a disposizione reciprocamente le nostre competenze/esperienze per creare sinergia tra noi? Se ognuno resta ingabbiato all’interno della propria realtà, si rischia di commettere i medesimi errori che altri hanno già commesso e superato, patire la stessa demotivazione per i fallimenti, disperdendo energie e tempo prezioso.
Questa relazione verte sulla mia esperienza all’interno del Gruppo di lavoro che ha redatto il PDTA del paziente affetto da emorragia subaracnoidea (ESA).
Partecipare a questo gruppo di lavoro è stato faticoso, ma costruttivo perché ha consentito a ciascuno di noi di guardare la realtà dalla prospettiva dell’altro. Mi ha inoltre permesso di far capire agli altri Professionisti l’importanza del ruolo dell’infermiere sia per garantire la continuità assistenziale (in tutte le sue accezioni) sia per “personalizzare” il percorso evitando che si sbilanci verso una eccessiva standardizzazione, ma soprattutto perché “Oggi, chi soffre di una grave patologia non vuole di fronte qualcuno che gli proponga solo delle procedure diagnostiche o delle terapie , ma vuole un interlocutore sul piano umano, un professionista che si prenda cura di lui come persona, che si faccia carico delle sue sofferenze (1)”
IL PERCORSO DIAGNOSTICO TERAPEUTICO ASSISTENZIALE
Il PDTA si può definire come un piano di cura multidisciplinare e strutturato che, per una specifica patologia, ci permette di stabilire, in base alle migliori evidenze scientifiche, il miglior percorso di cura realizzabile nella nostra organizzazione.
E’ una sequenza predefinita e coordinata di prestazioni che integra tra loro diversi setting, diversi professionisti e, non per ultimo, l’assistito.
Quando penso ad un PDTA, penso a un treno ad alta velocità. Il “paziente” si accomoda in un confortevole vagone e comincia il suo viaggio organizzato di cura: il treno procede, scambia variare binario, torna indietro, si ferma, riprende il viaggio, giunge alla stazione finale.
Un’immagine lineare, come le flow chart che rappresentano le fasi del percorso. Quando però ci siamo seduti attorno al tavolo e abbiamo immaginato il percorso ESA quel che è scaturito dai nostri pensieri è questo: un’esplosione di idee concatenate tra loro, che s’intrecciano, si suddividono, si sovrappongono in un dedalo di prestazioni, servizi, persone.
Pensare di trasformare tutto questo in una sequenza lineare all’inizio ci è sembrato impossibile. Poi abbiamo cominciato a riflettere e abbiamo capito che dovevamo solo pensare a organizzare meglio quel che normalmente già stavamo facendo. Le nostre parole d’ordine sono diventate: integrazione e continuità. Facile a dirsi, faticoso a realizzarsi.
Quindi perché un PDTA ESA?
Sono diverse le motivazioni che stanno alla base di un PDTA ESA:
L’incidenza: In Italia vi sono 1,5-2,5 casi di ictus ogni 1.000 abitanti, di cui 80% ischemici e 20% emorragici. Circa 9 persone su 100.000 sono colpite da ESA per un totale di circa 6000 nuovi casi annui. In Emilia Romagna sono circa 450. La mortalità pari al 10% al momento della rottura e al 35 % ad un mese dal primo evento emorragico. Un 10% giunge al PS in condizioni cliniche molto gravi. Nel 2013 a Bologna vi sono stati 84 casi di ESA da rottura di aneurisma.
Nel 2009 il Consiglio Superiore della Sanità ha espresso parere favorevole al documento “Gestione sanitaria del paziente con ESA” in cui si sottolinea la necessità di una corretta e tempestiva diagnosi, l’applicazione di un modello di trasporto per patologia tempo-dipendente, l’early surgery (trattamento entro le 72 ore per prevenire un risanguinamento), adeguate strutture ospedaliere con un team NCH/NRX interventista esperto, un PDTA per garantire la continuità assistenziale
L’ESA è un’emergenza sanitaria: per poter garantire un trattamento omogeneo, è necessario centralizzare velocemente il paziente. Il nostro territorio è vasto (San Giovanni in Persiceto verso Ferrara e dalla parte opposta Porretta verso Pistoia, Imola verso Forlì e dal lato opposto Castello di Serravalle verso Modena) e diversificato dal punto di vista geografico (pianura, città con vie strette e tortuose, territorio montano). L’arrivo del paziente in Neurochirurgia (HUB per il territorio bolognese) dal momento della diagnosi, deve comunque essere assicurato in tempi rapidi, per il pericolo di un risanguinamento precoce (il picco maggiore è stimato entro le 3 ore). Proprio per questo deve essere applicata la procedura per il trasporto in emergenza per pazienti con patologie tempo-dipendenti (lo stesso applicato per lo stroke, sindrome coronarica acuta, politrauma con shock, ecc.). Questo è il primo indicatore con un target atteso che si attesta al 90% esclusi, ovviamente, i pazienti non suscettibili per criteri di gravità.
Questa patologia colpisce generalmente nella 4° e 5° decade della vita, cioè quando l’individuo nella piena maturità fisica, familiare, socio-lavorativa, economica e psichica. L’outcome è spesso grave: oltre all’elevato tasso di mortalità molto elevato, circa il 50% delle persone colpite presenta sequele neurologiche o psichiche con notevole impatto personale e familiare e conseguente ripercussione socio-economica.
A causa delle caratteristiche della patologia è necessario che il PDTA si bilanci tra un’elevata standardizzazione (per quel che concerne il trattamento e le tecnologie utilizzate) e un’elevata personalizzazione (per quel che riguarda la complessità clinico-assistenziale e le condizioni socio-economiche estremamente variabili da persona a persona). Proprio in questa fase l’Infermiere referente di percorso, per le sue competenze, rappresenta il professionista che può supportare il team nella personalizzazione del percorso.
Il PDTA è garante della proporzionalità delle cure. La valutazione del setting assistenziale appropriato è sempre condivisa dal team (che è stabilmente composto da NCH, NRX, Rianimatore, Fisiatra, Infermiere, Fisioterapista e se necessario da Logopedista e Assistente sociale). L’integrazione delle diverse professionalità permette una valutazione globale del paziente. L’individuazione del setting si basa sulla complessità clinica del paziente, sulla perdita di capacità funzionali motorie e cognitive, sulla rete socio-familiare, sulla presenza di un caregiver affidabile, sulla valutazione ambientale. In questa fase la condivisione con il paziente (quando possibile) e con il suo caregiver, è fondamentale. Bisogna trovare il giusto equilibrio tra l’atteggiamento paternalistico, per cui io sono il sanitario, decido io perché ho la verità in mano) e quello per cui ti presento uno scenario di possibilità lasciandoti solo nella decisione.
La continuità assistenziale è un punto basilare del PDTA. C’è sempre il pericolo che un PDTA diventi un percorso ben costruito, ma a compartimenti stagni, con porte immaginarie che si aprono e si chiudono al passaggio del paziente da una fase all’altra. Nello studio pubblicato nel 2013 su Professioni infermieristiche “Il percorso di continuità assistenziale ospedale- territorio nei pazienti con gravi cerebrolesioni acquisite. Le aspettative dei caregiver e dei professionisti” si descrive la continuità assistenziale come la raccolta organizzata d’informazioni cliniche e sociali disponibili per qualsiasi professionista coinvolto nel percorso di cura (continuità informativa), l’erogazione di servizi tempestivi e puntuali all’interno del piano condiviso (continuità organizzativa), la relazione continua tra paziente e professionisti caratterizzata dal rapporto di fiducia.
Questa ricerca ha evidenziato che, la dimensione considerata più importante sia dai professionisti che dai caregiver, è quella relazionale, anche se quest’ultimi ritengono meno soddisfatte le loro aspettative. La continuità inoltre è un concetto multidimensionale che racchiude:
• la dimensione esperienziale del paziente e dei professionisti
• la dimensione temporale dell’assistenza.
Solitamente tendiamo a misurarla basandoci sui soli aspetti cronologici dell’assistenza e non sul numero di contatti con lo stesso professionista. Per i caregiver invece corrisponde alla garanzia di assistenza nel lungo periodo, ma soprattutto alla possibilità di avere un unico referente di percorso soprattutto nelle delicate fasi di passaggio. Oggi, chi soffre di una grave patologia non vuole di fronte qualcuno che gli proponga solo delle procedure diagnostiche o delle terapie , ma vuole un interlocutore sul piano umano, un professionista che si prenda cura di lui come persona, che si faccia carico delle sue sofferenze.
E credo che l’infermiere possa assumere a pieno titolo questo ruolo.
Sempre nella logica dei riferimenti fissi, ci siamo resi conto che nel PDTA ESA il MMG è rimasto troppo ai margini. Abbiamo perciò pensato di organizzare degli incontri per far conoscere sia il PDTA che il team e di contattare il MMG di ogni paziente inserito nel percorso. Come Infermieri, stiamo lavorando molto sulla continuità assistenziale. Se da 20 anni stiamo continuando a parlarne, forse è il segno che dobbiamo ancora lavorarci. Tra ospedale e territorio mancano ancora strumenti comuni, metodologie e linguaggi condivisi, ad esempio, utilizziamo diverse scale di valutazione dei bisogni e diversi strumenti di educazione terapeutica. Anche se ogni setting ha delle proprie peculiarità che devono essere rispettate, dobbiamo sforzarci di uniformarci. In caso contrario continueremo a passarci informazioni, senza trasmettercele.
Il PDTA attraverso la misurazione degli indicatori facilita la valutazione dei risultati. Il controllo dei risultati implica la necessità di mantenere aggiornate le proprie competenze. Non mi soffermerò a definire cosa sia un indicatore (ad. es quelli di struttura prevedono tecnologia e competenze), ma è doveroso precisare, che in questa prima fase d’implementazione del PDTA, gli indicatori misurati sono di tipo quantitativo e di qualità prodotta. Abbiamo però già previsto l’inserimento in tempi molto rapidi di indicatori di qualità percepita che ci permetteranno di misurare il gap tra il servizio erogato e le aspettative del paziente/caregiver e dei professionisti. Del primo indicatore che riguarda la centralizzazione dei pazienti in NCH IRCCS con procedura TEST dei abbiamo già parlato.
L’indicatore 2 misura i Pazienti sottoposti ad angioTC encefalo (indagine che ci permette di fare diagnosi e di valutare morfologia e localizzazione rispetto le strutture ossee per aneurismi dai tre millimetri) entro 12 ore dalla diagnosi con TC encefalo. Il target atteso è del 90%. Sono stati esclusi i pazienti non suscettibili a trattamento. Questo indicatore è strettamente legato ai due successivi (trattamento chirurgico o endovascolare) in cui è indicato un tempo di trattamento, esclusa l’emergenza, non superiore alle 24 ore dalla diagnosi, con un target atteso del 95%. E’ certo che il trattamento precoce migliora l’outcome del paziente. Se è presente un ematoma intracerebrale e/o sottodurale acuto, chiari segni di risanguinamento (peggioramento delle condizioni neurologiche, incremento della quote ematica subaracnoidea e/o comparsa di nuovo ematoma intracerebrale-sottodurale alla TC), idrocefalo acuto, il paziente è trattato in emergenza.
Ma cosa s’intende per precoce? Solitamente si considera “early” un trattamento effettuato entro le 48 ore. Questi indicatori 3 e 4 sono frutto di un’analisi della letteratura, ma anche di un dibattito che ha indagato un punto cruciale: se un paziente giunge al Bellaria a mezzanotte e si riesce a stabilizzarlo, è più indicato procedere immediatamente con il trattamento o attendere il mattino successivo l’equipe esperta (e riposata)? Al momento l’unico articolo in cui s’indica un trattamento ultra-early, cioè il prima possibile, è stato pubblicato a febbraio sul Journal of Neurosergery da clinici Coreani, ma sono stati confrontati, in un lasso di tempo di 11 anni, un gruppo di pazienti trattati molto precocemente con un gruppo di pazienti trattati oltre le 72 ore.
L’indicatore numero 5 misura il numero di pazienti (esclusi quelli con valore rankin uguale a 1 e non suscettibili a trattamento riabilitativo) in cui vi è una presa in carico del terapista entro le 48 ore dall’inserimento in lista d’attesa. Il target atteso è del 90%. Anche in questo caso si sono contestualizzate le linee guida considerando la nostra attuale organizzazione.
Considerata la difficoltà di monitorare gli indicatori di processo dai sistemi informativi aziendali, abbiamo pensato di predisporre un database clinico dedicato, un “registro on line”. Alla costruzione del data base hanno partecipato tutte le professionalità coinvolte nel percorso, ognuno per la parte di propria competenza, ma ogni scheda è stata condivisa con il resto del gruppo. Questo data base ci permetterà di raccogliere sistematicamente dati e di eseguire valutazioni sulla qualità dell’assistenza.
Il data base è composto da diverse schede
- Registrazione e Anamnesi compilate da NCH e NRX
- Pre-trattamento e Post-trattamento compilata dall’infermiere
- Scheda operatoria ed endovascolare compilate rispettivamente da NCH e NRX interventista
- Eventuale scheda di anestesia in caso di trasferimento in terapia intensiva compilata dall’intensivista
- Riabilitazione dal fisiatra
- Follw-up dal NCH NRX fisiatra ed infermiere
La scheda di registrazione permette di procedere nell’inserimento dei dati anche nel caso in cui non si conoscano le generalità del paziente al momento del ricovero. Nell’anamnesi sono riportati i fattori di rischio, le caratteristiche dell’esordio clinico, il GSC sul posto, la provenienza del paziente, l’arrivo in saletta urgenze e l’indicazione sul trattamento ipotizzato.
Se il trattamento non è urgente e il GSC è 14 o 15 il paziente è accolto in NCH e l’infermiere compila la scheda di pre-trattamento in cui sono riportati dati riferiti a: deficit focali, motori, vomito, midriasi, GSC al moneto dell’ammissione in reparto ecc. Nella scheda di post-trattamento sono riportati dati socio-sanitari: occupazione, supporto familiare, presenza di devices, dipendenza nelle ADV, LDP, alcune complicanze cardio-polmonari, emotrasfusioni (per l’incremento di rischio infettivo), complicanze della ferita, TVP, ecc.
Abbiamo pensato di monitorare SNG, CV, DVE e DSE chiedendo agli informatici la possibilità di avere una modalità dinamica che ci permetta il calcolo del tempo di permanenza dei devices. Questo perché hanno una ricaduta nell’attività assistenziale. Basti pensare al DVE: allettamento prolungato, possibili complicanze infettive, tromboemboliche, polmonari, LDP ecc.
Allettamento correlato a TVP, EBPM, pressoterapia: quest’ultima dovrebbe essere utilizzata maggiormente? Se il paziente non presenta fattori di rischio si può posizionare la pressoterapia senza eco-doppler o e meglio non posizionarla e ricorrere alla profilassi? Quando il paziente è dimesso il programma calcola la durata del ricovero. E’ riportata anche la modalità di dimissione.
La scheda di dimissione prevede le indagini prescritte di follow up. La parte riabilitativa è composta da quattro schede e prevede l’inserimento di dati socio-sanitari e alcune scale di valutazione: GCS, DRS,LCF, Barthel, Rankin, ecc. più alcuni capi liberi descrittivi.
Il Follw-up prevede la data di valutazione e il tipo di prestazione. Visita NCH o NRX a 1 mese e ad 1 anno, Intervista telefonica tra i 4 e i 6 mesi dalla dimissione eseguita dall’infermiere. È un’intervista strutturata in cui si indica la data dell’intervista, il valore della scala Rankin alla dimissione e la momento dell’intrevista, l’attuale dimora e occupazione, l’eventuale utilizzo di ausili e la tipologia, l’eventuale servizio che ha in carico il paziente (es. ADI, DH riabilitativo, trattamento ambulatoriale, Servizio sociale, ecc.).
Abbiamo anche previsto l’inserimento del questionario sullo stato di salute SF 36 nel caso in cui il paziente sia in grado di rispondere alle domande. Riteniamo che l’intervista debba essere condotta dall’infermiere di percorso, perché conosciuto e perché in rapporto di fiducia con il paziente e caregiver. Nel caso in cui il paziente sia ancora in carico a una struttura o ad un servizio, può essere utile il confronto diretto con i professionisti che lo hanno in carico. Se a domicilio con il MMG. Per concludere vorrei esprimere un desiderio: considerando la fascia d’età colpita dall’ESA si dovrebbero potenziati i logopedisti e i neuropsicologi, sia in ospedale che nelle postacuzie che nel territorio.
La disabilità neuropsicologica è quella maggiormente temuta dai caregiver per l’evidente l’impatto socio-familiare che determina.
Autore articolo dr.ssa Lorenza Zullo, Coordinatore Infermieristico
© RIPRODUZIONE RISERVATA
(1) Prefazione L.Battaglia “Dimensione sella relazione terapeutica. Profili comportamentali per una nuova missione in sanità” Aiperon Editoria e Comunicazione S.r.l.Bologna 2002
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