Elisa e Luke si sono sposati il 16 settembre e tra poco partiranno per la luna di miele. Destinazione America. Un matrimonio è sempre speciale, il coronamento di un amore ha sempre il sapore della magia. Ma nel caso di Elisa e Luke è una vera vittoria, l’ennesima e finora la più grande vittoria di Elisa contro la Sma, in una battaglia che dura da oltre 30 anni. Oggi Elisa Vavassori ha 35 anni: era ancora piccolissima quando i genitori si accorsero che qualcosa non andava. Come spesso accade in questi casi, infatti, sono gli occhi attenti di mamma e papà a osservare ciò che mai avrebbero voluto vedere e che pochi medici, forse, avrebbero saputo notare. “Ero debole, non gattonavo, mangiavo poco, così mi hanno portato a fare i controlli- racconta-. Avevo due anni quando la diagnosi della biopsia svelò una forma di Sma II (atrofia muscolare spinale)”.
Da quel momento, la strada è stata naturalmente tutta in salita, “la malattia nel corso del tempo è avanzata tantissimo: da piccola potevo stare in piedi coi tutori, andare in bicicletta, mangiare di tutto: ora queste cose mi sono precluse“. Due anni fa a quella malattia, che sempre l’accompagna, Elisa ha indirizzato una vera e propria lettera, in cui si rivolge al suo male per raccontarlo, in realtà, a tutti quelli che non lo conoscono. Ma lanciando alla Sma anche una sfida, che arrivando all’altare insieme a Luke può decisamente dire di aver vinto.
“Cara Sma, io e te, ormai, conviviamo da 33 anni e, secondo alcuni giudici, perfino ‘pacificamente’- scriveva allora Elisa-. Non è bello portarti sempre con me: nella maggior parte dei casi, sei tu che comandi la mia vita: quando ho sete, quando ho fame, quando vorrei truccarmi o pettinarmi, quando vorrei rigirarmi nel letto, quando vorrei aiutare nelle faccende domestiche o semplicemente quando vorrei accarezzare una persona cara tu non me lo permetti. A svolgere qualsiasi azione quotidiana deve essere qualcun altro, un parente, un’assistente, il mio compagno… perchè tu, cara Sma, a molti sei sconosciuta, ma hai il potere di cambiare la vita a chi ti trova sul suo cammino e a tutti quelli che gravitano attorno a te”.
La lettera di Elisa voleva però essere soprattutto un modo per “far capire alle persone cos’è davvero, nella vita concreta e nel cuore delle famiglie, una malattia rara – ci spiega – dopo che un angelo di soli tre mesi è volato in cielo proprio a causa della Sma, in un paese vicino a Carugate”. Così, la lettera prosegue con alcune informazioni “tecniche”: “Acronimo di Atrofia muscolare spinale, sei rara, ma non poi così tanto. Sei una patologia neurodegenerativa caratterizzata dalla specifica perdita dei motoneuroni inferiori, i cui soma risiedono nelle corna anteriori del midollo spinale e sei la causa principale di morte infantile. Ti classifichi, principalmente, in quattro forme, in base al periodo in cui fai visita alla tua vittima: SMA tipo I, la peggiore, perchè strappi dalle braccia di genitori spaventati i loro cuccioli dopo pochi mesi o pochi anni di vita; SMA tipo II, o intermedia, dove si sopravvive, ma tra mille difficoltà inimmaginabili, come me; SMA tipo III, o lieve, dove insorgi inaspettata ad adolescenti sconvolgendogli la vita e, infine, SMA tipo IV, o adulta, la meno aggressiva. In tutti i casi, il tuo ruolo è rendere la vita dura, fatta di rinunce e perdita progressiva dell’autonomia”.
C’è qualcosa, però, che Elisa è riuscita a sottrarre al potere devastante della malattia: “L’intelligenza, la voglia di vivere e la determinazione a lottare per raggiungere traguardi impossibili. Io, infatti, con te ci convivo, ma quando mi sono laureata, quando ho ottenuto il tesserino da giornalista, ma soprattutto quando ho trovato l’amore e mi sono costruita una casa e una famiglia, lì ho vinto io e tu sei rimasta in un angolo a guardare il mio trionfo”. Elisa infatti ha oggi una vita attiva, nonostante tutto: è responsabile, tra l’altro, della sezione lombarda di Asamsi (associazione per lo studio delle atrofie muscolari spinali infantili). E ha una vita indipendente, che è uno del valori irrinunciabili di Elisa, nonchè la sua più grande conquista. “Sono del parere che in Italia tutti dovrebbero poter fruire della legge 162/98 per la vita indipendente- ci dice-. E’ vero che siamo disabili, ma siamo persone come tutti e dobbiamo poter decidere autonomamente della nostra vita, scegliendo dove vivere, come vivere e non facendo scegliere allo Stato in che istituto metterci. Non siamo esseri viventi da ghettizzare, ma siamo capaci di autodeterminarci e dobbiamo avere il sacrosanto diritto di vivere in una casa, con le persone che amiamo e, soprattutto, con un’assistente scelto, assunto e formato da noi. Io ho un progetto di vita indipendente con un’assistente da me scelta e assunta regolarmente per 8 ore al giorno, 5 giorni a settimana. Ho lottato oltre 2 anni col comune per vedermi riconosciuto il diritto alla vita indipendente e alla fine ho vinto“.
Eppure, tante sono le difficoltà e troppi gli ostacoli per chi ha una malattia rara. “I problemi più urgenti da risolvere, adesso, sono sicuramente quelli legati all’assistenza. Bisogna fare in modo che l’Italia rispetti la convenzione Onu per i diritti della disabilità e tutte le Regioni abbiano lo stesso livello assistenziale. Non possono esistere, oggi, famiglie con bimbi disabili gravissimi a cui non viene nemmeno garantita un’assistenza infermieristica minima. Conosco famiglie con bimbi tracheotomizzati a cui la Asl non riconosce nemmeno 2 ore di assistenza e questo abbandono delle istituzioni è immorale e scandaloso, perchè questi genitori non sono liberi di potersi andare a bere un semplice caffè, altrimenti il loro bimbo, senza sorveglianza, potrebbe morire. Questi genitori, spesso giovani, perdono il lavoro, la spensieratezza e la propria vita per adempiere alle gravi mancanze dello Stato!” Oggi, però, Elisa lascia da parte i problemi e le battaglie, mentre ha ancora in bocca la dolcezza e la freschezza del giorno delle nozze e programma e prepara l’imminente viaggio di nozze.
Ho atteso e sognato il matrimonio fin da quando ero bambina- ci racconta-. Sposarsi è un passo importante per tutti, non credo che con una malattia ‘bastarda come la mia’, che ogni giorno si porta via un pezzetto di me, assuma un valore diverso. Perchè in amore siamo tutti uguali e tutti diversi. Certo, finora è stato il giorno più bello di tutta la mia vita, non ho mai provato una gioia e un amore così forte. E’ stato tutto perfetto, un matrimonio da favola. Mio marito è l’uomo della mia vita, la mia persona, colui che mi completa. Stiamo insieme da 16 anni e conviviamo da tre. Nulla ci spaventa, perchè la nostra unione ci permette di superare qualsiasi difficoltà”. E un amore così alimenta la speranza per il futuro e scommette sul domani: “La ricerca sembra finalmente aver preso la giusta via- ci dice infatti Elisa-. Ci sono tanti farmaci già a livelli avanzati di sperimentazione che fanno ben sperare. Finalmente in fondo al tunnel si vede un lumicino: posso sperare di riuscire almeno a fermare la progressione della mia malattia. Intanto pensiamo al viaggio di nozze, poi ci aspetta una vita insieme, per progettare il nostro futuro e i prossimi traguardi”.
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