C’e’ un’antica villa, immersa nel verde di un grande giardino, in via Siepelunga, sulle prime pendici dei colli bolognesi. Un luogo che subito colpisce per la sua bellezza.
Bellezza che stride, pero’, con la sofferenza che ospita. Sofferenza tanto piu’ grande, perche’ riguarda la vita di donne giovanissime (pochi ragazzi passati da qui, solo un paio su una sessantina di pazienti) afflitte da forme molto gravi di disturbi del comportamento alimentare.
Si tratta della Residenza Gruber, un centro per la cura di questo tipo di patologie che fa capo all’omonima Fondazione, una onlus no profit a sua volta emanazione della Fondazione Isabella Seragnoli.
La Residenza Gruber e’ l’ultimo progetto voluto e finanziato dalla presidente del gruppo Coesia. E’ una struttura sanitaria, convenzionata con il sistema pubblico, con 20 posti destinati ad ospitare pazienti per i quali il percorso ambulatoriale e’ insufficiente, ma che richiedono, piuttosto, un percorso residenziale. Insomma, l’ex proprieta’ della Curia, acquistata alcuni anni fa dalla fondazione, diventa per almeno quattro mesi la loro casa.
Una sessantina i ragazzi che sono passati dalla struttura in questo primo anno di attivita’: eta’ media 22 anni, ma qui si entra a partire dai 13 anni. La maggior parte degli ospiti viene dall’Emilia-Romagna, Bologna in particolare, ma ne sono arrivati anche da fuori regione. A prendersi cura di loro un’equipe di 39 specialisti, medici, psichiatri, psicoterapeuti, infermieri, educatori, dietisti, operatori socio-sanitari, “piu’ di quanti ne sarebbero necessari e piu’ della media delle strutture simili”, rivendica il direttore sanitario Michele Rugo.
A Residenza Gruber si trattano i casi particolarmente gravi, quelli in cui il rapporto malato con il cibo e’ il sintomo di un malessere molto piu’ grande e complesso. Un malessere spesso figlio di un contesto familiare problematico, per questo si seguono da vicino anche le famiglie. Il 75% dei ragazzi che approdano in via Siepelunga ha assunto o assume ancora psicofarmaci.
Nel 23% dei casi sono affetti anoressia, per i 3% da bulimia, per il il restante 75% da disturbi misti, in cui a periodi di gravi restrizioni alimentari seguono grandi abbuffate. “I disturbi del comportamento alimentare non sono solo disturbi dell’appetito, ma vere e proprie devastazioni del rapporto della persona con se stessa, con gli altri, con la propria vita. Sono patologie che assomigliano a nuove forme di schiavitu’, in cui si instaura un rapporto di dipendenza da un oggetto maledetto, che sia il cibo o l’ideale del corpo magro, che porta all’annullamento di se'”, spiega Massimo Recalcati, psicoterapeuta e consulente della Fondazione Gruber.
Il caso grave ha come caratteristica la resistenza ad ogni trattamento, che sia farmacologico o psicoterapeutico, e l’impossibilita’ al rapporto con gli altri e alla vita in famiglia. “La cura esige un altro luogo”, afferma Recalcati. Qui, sulle colline a ridosso della citta’, si tenta di spezzare il legame perverso tra il paziente e l’oggetto della sua ossessione, di inserire un “cuneo, che serve a rompere la nicchia in cui si e’ rifugiato”. Per questo tutte le attivita’ che vengono proposte alle pazienti, dalla danza allo yoga, dalla pittura all’arte, “servono ad uscire dalla nicchia”.
Con un principio-guida: “Questa e’ una clinica uno per uno”, scandisce Recalcati. Ogni percorso e’ personalizzato, ogni caso e’ unico (anche il menu’ e’ scelto dal paziente in accordo con il dietista ed e’ diverso per ognuno). “L’obiettivo e’ scoprire qual e’ il talento che la malattia seppellisce, rianimarlo per consentire la ripartenza”, aggiunge lo psicoterapeuta.
Solo due gli abbandoni in un anno, la prima misura del successo di questo percorso di cura. In questo centro specialistico (che non e’ un ospedale, ma una struttura di riabilitazione) si arriva su richiesta dei servizi territoriali di salute mentale. La degenza e’ gratuita e a carico del Servizio sanitario nazionale (180 euro circa al giorno il costo del ricovero per il singolo paziente).
Residenza Gruber e’ a tutti gli effetti integrata nella rete pubblico-privata costruita dalla Regione Emilia-Romagna per affrontare il problema dei disturbi alimentari. “Di fatto e’ l”unica regione che tratta la questione in un’ottica pubblica, riconoscendo al disturbo alimentare la qualita’ di disturbo grave, per cui bisogna dare una risposta a chi soffre”, rivendica Angelo Fioritti, direttore sanitario dell”Ausl di Bologna.
Su queste basi l”Emilia-Romagna ha costruito con il privato una rete che garantisce quattro livelli di assistenza, dai laboratori specialistici, agli ambulatori, fino all’ultimo tassello, i centri per la riabilitazione psico-nutrizionale, come quello della Fondazione Gruber o come quello gia’ presente a Parma (con caratteristiche piu’ ospedaliere, pero’). “Ci mancava questo tassello, spesso i nostri pazienti dovevano rivolgersi a strutture fuori regione. Ora i ricoveri fuori regione si contano sulle dita di una mano”, puntualizza Marinella Di Stani, coordinatrice del progetto regionale. “Quello che rende unica l’Emilia-Romagna e’ la rete.
Altrove, spesso, i centri sono cattedrali nel deserto, con niente prima e dopo”, osserva Fioritti. “Con la professionalita’, l”impegno e l’umanita’ di tutti gli operatori potremo continuare a migliorare la qualita’ della vita di pazienti e famiglie. “Questo e’ l’obiettivo identificativo di ogni nostro progetto di assistenza”, chiosa Isabella Seragnoli. (Wel/ Dire)
Foto tratte dal sito: http://www.residenzagruber.org/programma.html
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