Una mostra fotografica unica, realizzata dall’Ulss 12 di Venezia nella Scuola Grande di San Marco, oggi sede dell’ospedale Civile. Un modo per ricordare quanto è accaduto in una città che, prima delle legge Basaglia aveva ben due isole, San Servolo e San Clemente, per ospitare i malati di mente, e che in seguito è stata caposcuola nell’esperienza del diurno a Palazzo Boldù, dove c’è un reparto all’avanguardia per trattare il disagio psichico (Ansa).
La mostra, che sarà aperta fino al 29 febbraio (ingresso libero) utilizza fotografie dei primi anni del Novecento (probabilmente 1905) tratte da un album “celebrativo” realizzato alla fine della gestione dei frati dell’ordine di S.Giovanni di Dio detti “Fatebenefratelli” e alla conclusione dei lavori di restauro, di adeguamento e ampliamento fatti in quel periodo. Alcune immagini della mostra riproducono spazi ampi, i padiglioni dei pazienti, le camerate, i cortili e i campi coltivati della colonia agricola, i gabinetti medici tutti puliti e ordinati e svelano il dispositivo disciplinare di esclusione e reclusione allora ampiamente in atto.
Osservando le immagini si nota che le finestre sono sbarrate da pesanti inferriate e i padiglioni hanno tutti un recinto. Le foto in cui appaiono i pazienti sono molto poche e sono tutte punteggiate da sorveglianti nerovestiti a ribadire
la necessità di una custodia pressante. Sono, queste, tutte espressioni sintomatiche del “disagio” vissuto all’interno del manicomio che filtrano attraverso fotografie che invece vorrebbero veicolare una sensazione di tranquillità e di sicurezza. Una seconda serie di fotografie è di carattere più propriamente manicomiale: la ricerca dello stigma della pazzia attraverso la fisiognomica.
Si tratta di fotografie, tratte da un album comparativo, scattate al momento del ricovero (ammalati) e al momento della dimissione (guariti) con riportata la diagnosi e le date di entrata ed uscita. Nella prima foto il paziente appare al “naturale”: capelli arruffati, barba incolta, vestiti trasandati e un aspetto complessivamente dimesso; la seconda immagine lo mostra con capelli e barba tagliati, vestito semplice ma decoroso e un aspetto più florido. Questa comparazione, oltre ad essere un modo per mostrare il successo delle cure praticate nel manicomio, sottende sempre il meccanismo del controllo: per esser dichiarati guariti bisogna essersi adeguati a quello che la psichiatria di allora riteneva essere la normalità anche nell’aspetto esteriore.
Con questo album, probabilmente unico nel suo genere, viene così portata avanti una significativa operazione: la fotografia psichiatrica ricercando il riflesso della malattia mentale nel corpo del malato crea nel contempo una sorta
di catalogo della pazzia ma anche di fatto un catalogo dei canoni della normalità.
Testo e foto tratti dalla Presentazione dell’evento.