Malessere affettivo, irritabilità, ansia, depressione e persino un’elevata pressione sanguigna. Ecco cosa succede a chi lavora eccessivamente e sviluppa una vera e propria ossessione per il suo impiego. Una ‘malattia’ che si chiama workaholism e che è stata studiata da Cristian Balducci, professore associato di Psicologia del lavoro dell’Alma Mater di Bologna, in collaborazione col ricercatore Lorenzo Avanzi e con Franco Fraccaroli, professore ordinario di Psicologia del lavoro all’Università di Trento.
Il loro studio, pubblicato di recente sul “Journal of management”, dimostra gli effetti negativi sul corpo e sulla mente causati dall’incapacità di staccare dal lavoro. Un fenomeno oggi frequente in particolare tra le persone sempre più esposte a carichi e ritmi elevati, al limite della gestibilità.
COS’E’ IL WORKAHOLISM
Il workaholism, in sostanza, “è una forma negativa di forte investimento nel lavoro- spiega l’Alma Mater in una nota- in cui la persona non solo lavora eccessivamente, spesso ben oltre quanto richiesto dall’organizzazione, ma sviluppa una vera e propria ossessione per l’attività lavorativa, non riuscendo a staccare e provando un disagio significativo quando si allontana da essa”.
Gli effetti legati a questa ‘malattia’ sono stati documentati dai ricercatori italiani non solo a livellopsicologico (sintomi di malessere affettivo, irritabilità, ansia e depressione), ma anche fisiologico(elevata pressione sanguigna).
I RISCHI DEL WORKAHOLISM
Lo studio è stato condotto dai ricercatori su due fronti. Prendendo un campione di 311 persone, costituito in gran parte da liberi professionisti, dirigenti e imprenditori, è stato mostrato che i soggetti con una tendenza più marcata al workaholism registrano una più frequente esperienza di stati emotivi negativi come rabbia, pessimismo o scoraggiamento. Sentimenti rilevati non solo dalla stessa persona che ha fatto del suo lavoro una malattia, ma anche da soggetti esterni (il partner, nella maggior parte dei casi).
Da un altro gruppo di 235 lavoratori dipendenti, invece, è emerso che una più marcata tendenza al workaholism impatta negativamente sulla salute mentale anche a un anno di distanza. Questo suggerisce che, alla lunga, le conseguenze della dipendenza da lavoro possano assumere una rilevanza clinica.
LE RESPONSABILITA’ DEI DATORI DI LAVORO
Tra le altre cose, lo studio mette in guardia dal fatto che un carico di lavoro percepito come molto elevato produce un rafforzamento della tendenza al workaholism. “Richieste di lavoro cronicamente elevate– spiegano Balducci e colleghi- spingono all’investimento aggiuntivo sul lavoro, rafforzando nella persona il legame mentale con esso e la difficoltà a staccare”. Per questo, suggeriscono gli scienziati, “le organizzazioni lavorative dovrebbero essere attente a non alimentare questo fenomeno nei propri lavoratori, cercando di prevenirlo per evitare un degradamento significativo delle condizioni di benessere delle risorse umane e della loro vitalità”.